Russia, l’impunità dei re(i)
Incontro Marina sull’affollato binario della stazione ВДНХ, fermata nord-orientale della linea sei della metropolitana di Mosca. È un gelido pomeriggio tardo dicembrino. Così, provati dall’insistenza del blizzard e dalla spietatezza della temperatura, decidiamo, insieme all’amica francese mia oste, nonché dirimpettaia di Marina, di visitare una mostra sulla rappresentazione artistico-sociale della donna nella Russia sovietica.
[ad]Giunti in anticipo rispetto all’appuntamento, approfittiamo del tepore offertoci dalle luminose e riscaldate stanze della metropolitana, trovando ristoro su una panchina. Marina non sembra essere regina di puntualità. Oggi, in particolare, vista la sorpresa di un premio amoroso ottenuto inaspettatamente dalla sconfinata umana lotteria moscovita. È giunto infatti ieri a trovarla un manager di una multinazionale tedesca. Scorsi i titoli internazionali, porgerle un fiore è bastato a conquistarla. Lasciatasi alle spalle la Siberia e timidamente approdata a Mosca, Marina sembra infatti avere immediatamente trovato il suo amoroso magnetismo nelle sfoggiate apparenze di status e nella parvenza di potere di cui esse si fanno ingannevoli messaggere. Così, mi si presenta il suo trasognare quando, a due ore dall’appuntamento, confusamente si materializza tra la folla.
Le conseguenti scuse, e i prevedibili affanni, risultano superflui non appena giungiamo al museo. Con la sicurezza di un capobanda ci guida infatti magistralmente tra le stanze dell’edificio, istruendoci egregiamente su un argomento a cui difficilmente avremmo riservato nulla più del circostanziale giudizio “Beh, veramente una mostra interessante”. Così, terminata l’inaspettata escursione accademica, decidiamo di ricambiare il favore di cotanta lezione, invitandola a cena insieme al suo trofeo amoroso. Prelibati cibi francesi, e un’accoppiata di vini italiani, la mettono spalle al muro. La carnalità del desiderio può attendere. Accetta.
Raccomandandoci sulla puntualità, le diamo appuntamento per le nove.
Euforica ed incredibilmente elegante, trascinandosi dietro la sua rivincita sociale per procura, si presenta alla porta di casa puntualissima. Ancora indaffarati dai travagli culinari, li invitiamo quindi ad attenderci in sala da pranzo. Dopo una decina di minuti, però, Marina ricompare in cucina. Mi incalza in un italiano perfetto e mi interroga su un libro in cui è involontariamente incappata in salotto. Le spiego il suo provenire e le sue vicende e lei, di tutta risposta, mi chiede di potermene leggere un passo. Intontito dall’allettante proposta, e sbalordito dall’interesse suscitato da un libro sul risorgimento italiano in una ragazza della Russia siberiana, la invito a proseguire, promettendole che, nonostante una maionese biricchina, l’ascolterò attentamente.
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Incomincia a leggere. “Regali e protezioni; ecco i due articoli supplettori che compensavano l’imperfezione dei codici […] Alle volte anco il giudice dalla multa inflitta al reo percepiva la sua porzione; e contro quei giudici che si mostrassero un po’ corrivi a tale specie di entrata, non soccorreva altro rimedio che la minaccia, o diretta del reo se questo era potente, o invocata da uno più potente se il reo era umile. Spesso anche il giudice si accontentava di intascar la sua parte sotto la tavola, e firmava un decreto di innocenza, beato di schivare fatica e pericolo”.
[ad]Termina la lettura e, con identica puntigliosità, vomita la sua laconica sentenza. “Io sono avvocatessa commerciale. Esattamente così funziona l’odierno sistema giudiziario in Russia”. Approfittando del mio frastornato silenzio, prosegue oltre. “Ogni mattina io, avvocatessa, mi trovo costretta a scoraggiare un numero crescente di richieste dei clienti. Il numero di rei potenti, o protetti da potenti, aumenta quotidianamente. I rischi personali e le infinite disponibilità finanziarie delle compagnie costituiscono disincentivi sufficienti a rendere inerme la giustizia. Sarebbe veramente un suicidio intraprendere delle cause giudiziarie in queste condizioni. Certo, in alcuni casi, motivati dalla tenacia dei clienti internazionali, increduli davanti a tal impunità giudiziaria, ricorriamo a diverse tutele. Il risultato è però identica inefficacia”.
Ripresomi dall’atonicità, le domando cosa si nasconda dietro l’espressione “diverse tutele”. Stuzzicata dall’interesse mostrato, continua: “Intendo, particolari clausole, inserite nei contratti di partnership tra le compagnie russe e gli investitori internazionali, in cui si avverte che, qualora sorgano incomprensioni, le dispute debbano essere presentate davanti a tribunali di Paesi terzi. L’insufficienza di tal pratica si rivela però a seguito delle sentenze. Una sentenza di condanna, prima di veder decorrere i suoi effetti, deve infatti essere applicata dai tribunali in Russia. In questa sede si ripresenta l’arbitrarietà del sistema giudiziario. Abusando del limite d’applicazione sancito dalla generale formula “against public policy”, i venduti implementatori della giustizia revocano così gli effetti delle sanzioni sentenziate dalle corti internazionali, rendendo vani i faticosi sforzi del nostro lavoro e garantendo impunità ai rei”.
Ci avvertono che la cena è pronta. Ci accomodiamo a tavola e amaramente leviamo i calici. на здоровье! Na Zdorovye! Salute!