Monte dei Paschi, il problema non è il rapporto con la politica
Il caso Monte dei Paschi ha sollevato grande attenzione mediatica. Si tratta certamente di una vicenda infelice, frutto di molti errori compiuti nel passato a vari livelli dalla Banca, dalla Fondazione, dagli enti locali in quel singolare intreccio tipicamente senese che è stato definito un “groviglio armonioso” (e che armonioso, con ogni evidenza, non è più).
[ad]Tuttavia un osservatore spassionato non può non stupirsi dei tempi e dei modi della campagna mediatica che si sta conducendo su questa vicenda.
In primo luogo molti dei contorni della vicenda erano ben noti da tempo. Si sapeva dei derivati (tra cui gli ormai famigerati Alexandria e Santorini). Si sapeva della imponente esposizione sui titoli di stato italiani (e del derivato Nota Italia che finiva per ridurre il rendimento collegato a questa operazione). Era infine ormai evidente da tempo l’erroneità strategica dell’acquisizione di Antonveneta ad un prezzo considerato troppo elevato da quasi tutti gli esperti. Tuttavia solo ora, a ridosso delle elezioni, la vicenda diventa oggetto di una campagna battente che conquista ampissimi spazi su giornali e televisioni nazionali.
In secondo luogo bisogna riflettere attentamente sul modo in cui la vicenda viene presentata e sul messaggio che viene fatto passare. Si dice: il dissesto del Monte dei Paschi è colpa dell’influenza della politica (e segnatamente della politica di sinistra, potendo così addossare la colpa al Partito Democratico cercando di eroderne il vantaggio elettorale). Si cerca così di ricondurre una vicenda carica di complessità ad una narrazione semplificatoria: tutti i mali vengono dal controllo pubblico. Si ritiene che i problemi delle banche italiane vengano dal residuo di proprietà pubblica che le Fondazioni rappresentano, residuo che le esporrebbe a pressioni e influenze politiche. Questa narrazione è sostenibile solo al prezzo di ignorare il contesto storico e mondiale in cui ci troviamo. Realtà come Lehman Brothers, AIG, Northern Rock, Bear Sterns non potevano certo essere accusate di essere soggette a un pervasivo e massiccio controllo pubblico.
All’interno di questo contesto globale l'”arretrato” sistema bancario italiano ha fatto un ricorso tutto sommato modesto ai salvataggi e agli aiuti pubblici. Se si ricorda tutto questo appare difficile presentare il problema Mps come l’ennesima dimostrazione dei danni causati dall’intervento pubblico in economia.
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[ad]Naturalmente questo non vuol dire sorvolare sui gravi errori di gestione che pure ci sono stati o sui possibili abusi (che sarà compito della magistratura verificare) né minimizzare i problemi dello specifico sistema di governance del Monte dei Paschi. Tuttavia le criticità che questo presentava nascevano in primo luogo da una serie di particolarità specifiche della città di Siena. Chi conosce anche solo vagamente questa realtà sa come si tratti di un unicum mondiale (si pensi al sistema delle contrade) e come il sentimento di “senesità” degli abitanti vada oltre qualunque appartenenza politica, partitica, sindacale ecc. E’ in questa idea di costituire una realtà a sé, una realtà che può essere compresa a fondo solo da chi ne fa parte da sempre che sono da ricercare le radici della volontà della città (concorde in questo in tutte le sue componenti) di mantenere il pieno e totale controllo della Banca. La Banca, il “babbo Monte”, permetteva di perpetuare nel tempo “l’eccezione Siena”, permetteva di cristallizzare un modello di vita che si voleva uguale nei secoli, impermeabile alla storia.
I rovesci a cui la Banca è andata incontro, che hanno avuto come conseguenza la forzata perdita della maggioranza del Monte da parte della Fondazione, è in primo luogo la storia del risveglio da questo sogno in cui la città per molto tempo ha vissuto. Un modello che i senesi hanno difeso contro la stessa dirigenza nazionale dei partiti di sinistra. Vincenzo Visco ha detto al Corriere della Sera: “l’unico a provare a fare qualcosa a scardinare e correggere i guasti di questa commistione tra società civile, politica e la banca, sono stato io quando da ministro commissariai la Fondazione per costringerla a modificare lo Statuto. Poi firmai il decreto per impedire al suo presidente, Pierluigi Piccini, di diventare presidente della banca”.
A Siena si formavano dunque delle logiche autonome rispetto a quelle dei partiti di sinistra nazionali, logiche che avevano proprio nelle enormi disponibilità finanziarie del Monte uno straordinario strumento di consolidamento. Diventava dunque difficile comprendere, in ultima analisi chi, tra la Banca e gli enti locali, controllasse chi.
Proprio per questo appare arduo fare del caso Monte dei Paschi un argomento contro l’intervento pubblico in economia. Al contrario, è solo a partire da una ripresa del ruolo della Politica in senso alto (che naturalmente deve lasciarsi alle spalle casi negativi come quello di Siena, che manifestano in realtà più una subordinazione della politica all’economia che non il contrario) che ci si può aspettare una soluzione duratura dei drammatici problemi del nostro tempo. L’uso strumentale di episodi come quello del Monte dei Paschi per riproporre vecchie argomentazioni va purtroppo nella direzione opposta.