Continuità istituzionale nel segno della tradizione. Questo il verdetto del ballottaggio presidenziale tenutosi il weekend scorso in Repubblica Ceca. Milos Zeman, leader del Partito dei diritti civili (SPO), conquistando il 55% delle preferenze, diviene infatti il terzo Presidente ceco, insediandosi, insieme ai suoi due predecessori, figure diversamente egemoni del dopo-Indipendenza, Václav Havel e Václav Klaus, nel pantheon politico del Paese.
[ad]Si chiude così una tornata registrante la prima elezione diretta alla carica presidenziale e annoverante un acceso scontro elettoral-mediatico. Longeva figura del panorama politico ceco, passato da dissidente, mandato governativo da riconciliato (durante il suo premierato si è circondato di ex membri della nomenklatura), Zeman, ha costruito il suo successo evidenziando la propria alterità rispetto alle misure di austerità promosse dall’attuale governo di centro-destra guidato da Petr Nečas.
L’elezione, aumentando il divario percentuale registrato al primo turno, ha disegnato inoltre una netta geografia socio-elettorale del Paese. Se il neo Presidente ha infatti conquistato i voti delle identità socio-economiche più deboli, principalmente residenti nelle campagne, il suo avversario, Karel Schwarzenberg (45%), romantico erede della decaduta nobiltà mitteleuropea ed attuale Ministro degli Esteri del governo Nečas, ha contrariamente ottenuto ampie percentuali di consenso nei centri urbani, connotando così, per antitesi, il profilo del proprio elettorato (ricco anche di giovani). L’approdo di Zeman allo Hradcany, residenza presidenziale, sembra quindi aver surfato sulle paure di coloro che, oggi, trovandosi in precarie condizioni economiche in un contesto di crescente crisi, risultano ulteriormente indeboliti dagli spauracchi mediatici urlati in campagna elettorale. Specularmente, coloro i quali godono di migliori anticorpi rispetto a populistici slogan diffondi-paura, sembrano invece aver riversato le proprie preferenze su Schwarzenberg, garantendogli un inaspettato ballottaggio ed un crescente sostegno capace di sfiorare il successo.
La maggiore novità dell’elezione di Zeman riguarderà però la politica estera. Il suo insediamento presidenziale garantirà infatti un cambio di direzione nei rapporti tra la Repubblica Ceca e l’Unione Europea, archiviando le dichiarate posizioni euro-scettiche dell’uscente Presidente Václav Klaus. Zeman, pur dichiarandosi contrario ad una sovranità europea, ha infatti ripetutamente manifestato il suo favore ad un progetto euro-federalista, non nascondendo però anche il suo disappunto verso la mancata inclusione della Russia.
Tramontata sembra comunque essere l’epoca in cui Praga, assecondando i deliri anti-europei del suo oramai ex-Presidente, si opponeva al Trattato di Lisbona, rivendicando le istanze di una maggiore sovranità nazionale. Contrapponendosi a tal scenario, il neo Presidente, desidererebbe infatti implementare il percorso ceco di adesione alla comunità monetaria europea, provando così a risollevare la crisi dell’economia nazionale e tentando di agganciare il treno delle vicine nuove locomotive europee, Polonia e Slovacchia.
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[ad]Il ruolo di Presidente della Repubblica, pur conferendogli poteri di nomina e di veto, rimane però pur sempre un ruolo di rappresentanza. Nonostante ciò, Zeman, sembra intenzionato a voler monitorare da vicino le dinamiche governativo-parlamentari, cercando di dare pratica ai buoni propositi promossi in campagna elettorale. La Repubblica Ceca vive infatti oggi una spiccata crisi di fiducia verso la coalizione governativa di Nečas denunciata sia dall’astensionismo evidenziato alle regionali di ottobre sia dal nuovo mandato presidenziale. Necessario sembra quindi essere un responsabile percorso istituzionale capace di costituirsi guida super partes. Il debutto di Zeman in materia non risulta tuttavia eccellente. I buoni auspici istituzionali con cui ha battezzato il suo mandato, promuovendo il proprio ruolo di “Presidente di tutti i cittadini cechi”, stonano infatti con le dichiarazioni, rilasciate il giorno dopo, in cui ha aperto ad elezioni legislative anticipate, descrivendo, i precari equilibri di coalizione dell’attuale maggioranza governativa, così: “il governo è mantenuto al potere grazie ad un partito di transfughi che non è uscito da libere elezioni”.
A seguito del giuramento dell’8 marzo e del suo ufficiale insediamento al Castello, i prossimi mesi permetteranno di comprendere maggiormente la portata dell’elezione di Zeman. Qualora egli si rivelerà capace di traghettare il Paese verso lidi più saldi rispetto all’attuale crisi governativo-economica, facendosi inoltre interprete di nuovi percorsi di ri-avvicinamento europeo, ripagherà con interessi il bonus fiduciario garantitogli, in nome della continuità istituzionale, dall’elettorato.
Qualora, contrariamente, non riuscirà a promuovere sufficientemente i buoni propositi avanzati in campagna elettorale, una prima condanna al suo mandato, potrebbe avvenire già alle parlamentari del 2014, conducendo un elettorato stanco e provato dall’austerità governativa del centro-destra e disilluso dalle speranze avanzate dalla Presidenza di centro-sinistra a ricorrere all’arma del dissenso silenzioso: l’astensionismo. O peggio, qualora fiorisca un inaspettato giullare di corte, così come accaduto in altri Paesi dell’area, alla ancor più temuta arma dell’antipolitica. Pericoli a cui Zeman, nello svolgere responsabilmente i suoi nuovi incarichi, dovrà intensamente prestare attenzione sin dalle prime fasi del suo mandato.