Il post primarie nazionali non è stato e non è indolore per i cosiddetti “renziani” del PD. Al di là della comprensibile delusione per non essere riusciti a centrare l’obiettivo di vincere la sfida con Pierluigi Bersani, i sostenitori di Matteo Renzi con in tasca la tessera del PD (e alcuni anche con qualche ruolo “dirigente” nel partito), si trovano ora a fare i conti con una situazione complessa e di non facile soluzione.
[ad]Matteo Renzi, immediatamente dopo la sconfitta delle primarie, ha chiarito in modo abbastanza inequivocabile (ribadito poi successivamente in diverse occasioni) di non voler dar vita a nessun tipo di corrente organizzata all’interno del PD e di non ambire a una “quota” di “posti”, corrispondente al 40% dei consensi raccolti nella sfida del ballottaggio con il segretario del partito.
La scelta di Renzi, coerente con quanto più volte ribadito nella campagna elettorale, gli rende onore e gli fa indubbiamente guadagnare un consenso, prima inimmaginabile, tra gli iscritti del partito (insomma, un po’ della serie “a nemico che fugge ponti d’oro”).
Ma, al contempo, lascia in una sorta di “terra di mezzo” tutti coloro che, dall’interno del partito, lo hanno supportato e sostenuto e hanno affrontato il fuoco (non) amico dei sostenitori di Pierluigi Bersani, particolarmente agguerriti nella competizione delle primarie, soprattutto nei confronti dei compagni di partito.
L’area di riferimento di Matteo Renzi che si è formata all’interno del PD è, appunto, “un’area”; persone che, con provenienze diverse, si sono ritrovate a sostenere la candidatura del Sindaco di Firenze e a condividerne il filo conduttore della sua campagna per la leadership, il rinnovamento e il cambiamento.
Un’area riconoscibile per la condivisione di temi e contenuti più che per “appartenenza” a una filiera organizzata.
Dunque nulla a che vedere con le correnti, più o meno organizzate, che esistono e persistono all’interno del partito.
In queste condizioni “liquide”, senza poter far riferimento in modo esplicito e lineare al “leader” Matteo Renzi (che si è messo a disposizione del PD per la campagna elettorale ma con un profilo “di servizio”, diverso per forza di cose da quello che tanto entusiasmo aveva suscitato durante le primarie), i “renziani” del PD si trovano a dover gestire la campagna elettorale con una qualche fatica e con il timore (fondato) di veder svaporare il consenso acquisito in fase di primarie, in larga parte “fuori” dal partito. Consenso prezioso e importante per tutto il PD per vincere (bene) le elezioni.
(E indubbiamente, la scelta di Pietro Ichino – che durante le primarie aveva rappresentato un punto di riferimento importante e qualificante dell’area dei “renziani” – di aderire al progetto “Scelta civica” di Mario Monti, non aiuta, anzi.)
Quale può dunque essere una possibile strada da percorrere per “l’area Renzi”, in questo importantissimo passaggio delle elezioni?
E’ abbastanza evidente che le aspettative, l’attenzione, il consenso createsi intorno alla figura del sindaco di Firenze, sono difficilmente trasferibili ad altri.
Ma è altrettanto chiaro che sia possibile lavorare per tenere insieme le reti territoriali che si sono create durante le primarie. Reti larghe, aperte, formate spesso in maggioranza da non iscritti al PD.
[ad]Provando a presidiare e a promuovere i temi che più hanno caratterizzato la candidatura di Matteo Renzi e che nel PD sono da tempo al centro di una battaglia condotta da una “qualificata minoranza”, che si è riconosciuta in larga parte proprio nella candidatura di Renzi.
Dando una mano a Pierluigi Bersani, per quanto sarà possibile, a qualificare la proposta del politica del PD, per provare a conservare quel pezzo di elettorato che ora appare confuso e stenta a riconoscere il PD come “partito di riferimento”.
Nel contesto di una campagna elettorale in cui appare difficile “prendere la scena” in modo propositivo e riconoscibile. E in cui il rischio di essere schiacciati dalla prepotenza mediatica degli avversari non è da sottovalutare.