Crescita e lavoro. I temi sono questi dappertutto anche in Scandinavia. Nei giorni di Davos, una sintesi efficace è venuta dal presidente della Repubblica finlandese Sauli Niinistö: “Le mie preoccupazioni maggiori sono per l’economia e la disoccupazione: dovremmo prenderci più cura della coesione sociale”. Parole simili a quelle di Jutta Urpilainen, leader laburista e ministro delle Finanze: la crisi economica non deve diventare crisi sociale. Urpilainen ha detto che rispetto agli anni scorsi a Davos si respirava un’atmosfera più positiva. In pratica si vede la luce in fondo al tunnel. Ma come raggiungere quella luce? Ecco, qui le proposte si moltiplicano.
[ad]Prendiamo la Danimarca. Nel 2008 i disoccupati erano circa 70mila. Nel 2010 sono diventati 160mila e siamo rimasti più o meno lì. Negli ultimi giorni dal mondo produttivo si sono sollevate delle voci: i salari danesi sono troppo alti, soprattutto per i lavori senza qualifiche. Questo penalizzerebbe la competitività del sistema, schiacciata di fronte ai rivali europei e non solo. La disoccupazione ha radici pure lì, dicono. La pensa così anche Lars Løkke Rasmussen, ex premier e leader dei Liberali che ha aggiunto: un disoccupato non è incentivato ad accettare un lavoro con basso salario perché i sussidi statali sono troppo generosi. Tema non nuovo. Che qualcosa vada cambiato lo pensano pure nel governo. Margrethe Vestager, ministro dell’Economia e degli Affari interni e leader della Sinistra Radicale (a dispetto del nome l’ala ‘centrista’ dell’esecutivo) lo ha detto chiaramente: la Danimarca sta cambiando, lo stato non può più essere considerato come un’entità che risolve tutti i problemi. Su economia e disoccupazione, Vestager difende la linea del governo che però non convince del tutto i sindacati, secondo i quali si potrebbero creare oltre 20mila posti di lavoro in un paio d’anni puntando sulle infrastrutture: andrebbero cioè sbloccati fondi per costruire nuove case popolari, migliorare i trasporti pubblici e puntare sull’energia rinnovabile. Insomma tutt’altro rispetto alle idee di Lars Løkke Rasmussen. Che però non sono isolate.
Il premier svedese Reinfeldt, infatti, ha espresso concetti simili a Davos dove in agenda c’erano crescita, disoccupazione e disoccupazione giovanile in particolare. Una brutta bestia che morde anche in Scandinavia: appena sotto il 20% in Finlandia e 22,6% in Svezia dove rispetto al resto d’Europa per Reinfeldt i lavori a basso salario sono troppo pochi. Per aiutare l’occupazione giovanile ne servono di più. Tra le tante cose discusse in Svizzera, sono state queste parole a sollevare le critiche maggiori entro i confini svedesi. Per i sindacati quel che ci vuole è più collaborazione tra istituzioni, formazione e servizi per l’impiego. La distanza è tanta e infatti martedì è sfumato l’accordo sul piano anti-disoccupazione giovanile. Il governo di centrodestra aveva proposto correzioni fiscali per le imprese e un sistema che permettesse agli under 25 di dividersi tra lavoro, studio e formazione. Il tavolo però è saltato. I sindacati hanno incolpato le imprese che hanno incolpato i sindacati. Il governo spera che il discorso si possa riprendere. In ogni caso, come annunciato ieri dal ministro delle Finanze Anders Borg, altre proposte arriveranno nelle prossime settimane.
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Il lavoro è al centro anche dell’agenda laburista. Basta sentire cosa dice il leader Stefan Löfven: “La piena occupazione è la nostra priorità”. Un concetto che rimanda alle radici stesse della socialdemocrazia svedese. I binari, dice Löfven, sono due: lavoro e stato sociale perché un buon welfare aiuta l’occupazione e l’occupazione aiuta il welfare. Altro campo nel quale i laburisti sono entrati a gamba tesa è la scuola. Löfven propone investimenti, formazione per gli insegnanti, classi meno numerose. E poi suggerisce di includere nella scuola dell’obbligo tutto il ciclo delle superiori.
[ad] Non mancano le critiche al governo, colpevole di aver contribuito a un peggioramento del sistema, un sistema che invece per i socialdemocratici deve diventare la base per il rilancio del paese. Secondo qualche analista i laburisti puntano a raccogliere i voti del mondo della scuola in vista delle elezioni del 2014. Basterà? Forse. Ci sono commentatori in Svezia che suggeriscono a Löfven di avere più coraggio. Uscire dagli schemi tradizionali, insomma. Qualcosa di simile a quanto fatto in Norvegia dal partito della Destra. Nei giorni scorsi, la leader Solberg ha presentato i punti programmatici in vista delle elezioni del prossimo settembre: creare posti di lavoro, meno tasse, insegnamento di qualità nelle scuole, una sanità efficiente dove i cittadini possano scegliere tra pubblico e privato, trasporti e strade. Insomma un’agenda trasversale. Agli occhi dei norvegesi, la Destra è ormai un interlocutore affidabile e i problemi nella maggioranza guidata dai laburisti di sicuro non aiutano a cambiare il quadro. Partito di Centro e Partito della Sinistra Socialista continuano a bisticciare: non c’è identità di vedute sui temi della bioetica, sull’immigrazione, sul ruolo che il petrolio dovrà avere nell’economia norvegese, neppure se in futuro Oslo debba o meno restare nello Spazio economico europeo, prospettiva che non piace a una parte del Partito di Centro.
Ben altra atmosfera in Islanda. Reykjavík deve solo 20mila euro (il minimo di legge) agli investitori inglesi e olandesi che hanno perso denaro in seguito al crack dei titoli Icesave. A deciderlo è stata L’EFTA, l’Associazione europea di libero scambio. Gran Bretagna e Olanda avevano chiesto un rimborso totale. l’Islanda ha visto riconosciute le proprie ragioni. L’isola risparmierà così un fiume di denaro che, dice la premier Sigurðardóttir, contribuirà alla ripresa economica. In Islanda, del resto, quella luce in fondo al tunnel non sembra così lontana: la disoccupazione a gennaio è scesa al 4,6%. Resta alta invece l’inflazione che si attesta al 4,2%. Era al 6% dodici mesi fa.