Tecné, sondaggi nazionali e regionali a confronto

Le campagne elettorali italiane, secondo una tendenza consolidatasi sempre più negli anni, hanno da tempo smesso di essere un luogo di confronto di idee e opinioni e sono via via diventate un lungo momento di riposizionamenti, dichiarazioni, talk show e promesse disorganiche e disorganizzate scandite invariabilmente dai sondaggi elettorali.


La moltiplicazione degli istituti demoscopici, unita alla crescente digitalizzazione del Paese che ha reso possibili e via via sempre più accessibili metodi di intervista via web, stanno in qualche modo saturando di sondaggi, proiezioni ed elaborazioni, un momento che dovrebbe invece essere il trionfo dei contenuti, delle proposte e della politica nel senso più alto del termine.

[ad]Se le rilevazioni sondaggistiche rimangono in quanto tali un elemento essenziale e imprescindibile delle campagne elettorali nel momento in cui esse si limitano a certificare il livello di consenso di politici, partiti e coalizioni, si sta da tempo assistendo all’utilizzo dei sondaggi come vera e propria arma elettorale – sondaggi che arrivano quindi a sostituire contenuti e proposte – per richiamare al voto gli elettori della propria fazione e scoraggiare quelli delle aree politiche avverse. Persino quando i committenti dei sondaggi non sono soggetti politici ma organi di informazione è possibile un uso personale dei sondaggi politici, allo scopo di manovrare l’audience allo stesso modo in cui un partito cerca di indirizzare i movimenti dell’elettorato.

Per certi versi, è solo attraverso questa chiave di lettura che si possono comprendere due elementi che in tutti i sondaggi politico elettorali paiono contrastare tra di loro: la rimonta a livello nazionale del centrodestra, ed il fatto che le regioni chiave in cui si deciderà la governabilità del Senato e del Paese continuano a rimanere in bilico.
Possibile che il centrodestra rimonti in tutte le regioni tranne che in Lombardia e in Sicilia? O piuttosto – poiché i sondaggi sono caratterizzati non già da un valore preciso per ciascun soggetto valutato, ma da forbici di valori – ciascun committente presenta valori all’interno della forbice confacenti con le proprie intenzioni ed i propri obiettivi?

A questo proposito risulta particolarmente interessante esaminare, tra i sondaggi più recenti, alcuni di quelli eseguiti da Tecné per Sky.
Come riportato sul sito ufficiale www.sondaggipoliticoelettorali.it, tra il 21 ed il 24 gennaio Tecné ha eseguito un sondaggio a livello regionale su diciannove delle venti regioni del Paese, con la sola eccezione della Valle d’Aosta, pubblicandolo il 29 gennaio. Al tempo stesso, nell’ambito delle rilevazioni quotidiane che la casa sondaggistica esegue per Sky, in data 24 gennaio è stato condotto un sondaggio a livello nazionale, pubblicato il 28 del mese. In entrambi i casi si è trattato di sondaggi CATI riferiti alla popolazione maggiorenne (elemento che rende più facile la comparazione del dato tra le due rilevazioni ma falsa lievemente i dati in termini di attribuzione dei seggi al Senato), con margine di errore piuttosto ampio, ± 4%.

Grazie ai dati Istat relativi all’ultimo censimento nazionale, è stata calcolata per ciascuna regione del Paese la popolazione maggiorenne; in tal modo diventa possibile tradurre in voti assoluti i dati percentuali, e soprattutto diventa possibile pesare i dati di ciascuna regione in modo da ricostruire un risultato nazionale a fronte dei risultati regionali.

Sondaggio regionale e sondaggio nazionale Tecné

Le discrepanze tra le due rilevazioni, pur abbondantemente all’interno della forbice di incertezza dei sondaggi, emergono in maniera piuttosto netta, e non possono essere spiegate con i dati non rilevati della Valle d’Aosta (con i suoi 100.000 circa maggiorennni) né con le date non perfettamente coincidenti tra le due rilevazioni. Questo è particolarmente significativo se si tiene conto che anche per il sondaggio a livello regionale il campione riguarda la popolazione maggiorenne, e non solo gli aventi diritto di voto al Senato.

Il primo dato rilevante riguarda il livello degli indecisi e degli astenuti, che nel sondaggio regionale è di tre quarti di punto percentuale (circa 330.000 voti in senso assoluto) rispetto a quello nazionale.
Entrando poi nell’ambito dei risultati delle singole formazioni, il dato forse in assoluto più eclatante è quello del M5S: +1,79% dal regionale al nazionale, ovvero oltre 600.000 voti in più tra i sondaggi che sommano i dati delle varie regioni e quello invece a valenza puramente nazionale. Una differenza in voti pari al numero degli abitanti di una città come Genova.
Anche le formazioni minori risultano favorite nella rilevazione nazionale rispetto a quella regionale: +1,04%, ovvero quasi 350.000 voti.
Quasi perfettamente allineata tra i due sondaggi appare invece Rivoluzione Civile, che nel nazionale guadagna appena uno 0,05% sul regionale.
Le tre coalizioni principali, invece, risultano tutte penalizzate nel sondaggio nazionale rispetto a quello regionale; in particolare, per il centro di Monti si parla di un -0,93% (-225.000 voti), per il centrodestra di un -0,47% (-25.000 voti) e per il centrosinistra addirittura un -1,48% (-305.000 voti).

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Si tratta di differenze comprensibili, spiegabili? Indubbiamente ricadono nella forbice di incertezza del sondaggio elettorale, ma è impossibile non osservare alcuni dettagli.

[ad]In entrambi i casi, muovendosi all’interno delle forbici di incertezza in un caso a favore del centrodestra e nell’altro a favore del centrosinistra, i sondaggi politici paiono propendere per le situazioni di incertezza.

Malgrado questo, è possibile conciliare i due sondaggi? È possibile capire quale dato rispecchi maggiormente il reale umore dei cittadini?
Da un punto di vista prettamente matematico, la risposta è negativa: contrariamente a quanto il comune buon senso suggerirebbe, infatti, i valori all’interno della forbice non sono delle probabilità, pertanto indicare un risultato elettorale basandosi sui dati del centro della forbice oppure sui dati posizionati ad un estremo è equivalente – purché naturalmente venga dichiarato.
Dove il semplice studio dei numeri non può aiutare, tuttavia, la logica ed il buon senso possono comunque contribuire a dare un indirizzo di massima all’analisi: il semplice fatto che le regioni in bilico continuino ad essere Lombardia e Sicilia, anziché diventare ad esempio Campania, Friuli e Piemonte, è sintomatico del fatto che il mood generale del Paese continua a rimanere – pur nell’ambito di naturali oscillazioni – tutto sommato stabile, mentre lo spacchettamento del dato nazionale su base regionale porta invece all’occhio situazioni quantomeno anomale, come il 26% del centrodestra in Toscana, un valore elevato se paragonato a quelli di Emilia, Marche ed Umbria e che in qualche modo lascia intendere come le regioni almeno apparentemente sicure possano essere usate per giocare sui distacchi a livello nazionale lasciando inalterato il dato delle regioni in bilico.

La tanto attesa rimonta del centrodestra, ad un mese dal voto, non è ancora stata in grado di incidere in maniera significativa sulla contesa elettorale, contesa che rimane aperta soprattutto a causa dell’elevatissimo numero di indecisi ma che vede ancora in Bersani e nel centrosinistra i favoriti alla vittoria finale.