Il XIX Congresso del PCI

Pubblicato il 4 Maggio 2020 alle 08:53 Autore: Giovanni Andrea Cerrina

Il XIX congresso del PCI, tenutosi tra il 7 e l’11 marzo del 1990, fu il penultimo congresso di questo partito.
In tale occasione si affrontarono tre mozioni: quella del segretario Occhetto (poi risultante vincente con più di 2/3 delle preferenze), quella di Natta (segretario precedente a Occhetto) e Ingrao e infine quella di Cossutta (poi cofondatore del “Movimento per la Rifondazione Comunista” divenuto, in seguito alla fusione con Democrazia Proletaria, “Rifondazione comunista”).

Il contesto internazionale

Durante tutta la guerra fredda il mondo è stato diviso da una “cortina di ferro” in cui i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, si minacciavano costantemente. Era difficile per un paese non schierarsi (sebbene alcuni non lo fecero), l’Italia faceva parte del blocco atlantico, ma aveva al suo interno il più grande partito comunista d’occidente che la metteva in una posizione particolare.

Nel 1985 Gorbachev venne eletto segretario generale del PCUS (Partito Comunista dell’URSS) con l’idea di portare avanti importanti riforme economiche e di trasparenza (glasnost e perestrojka). Dopo quarant’anni di guerra fredda il blocco sovietico soffriva infatti di una grave crisi economica dovuta anche alla corruzione e alla scarsa trasparenza dei processi decisionali.

A seguito di moti indipendentisti nei paesi baltici e nel caucaso il dominio sovietico cominciò a sembrare fragile e mostrare segni di cedimento, segnali che furono accentuati dalle liberalizzazioni attuate dal segretario generale, il quale aveva l’intento di separare lo stato dal partito.

Finalmente il 9 novembre del 1989 (in circostanze poco chiare e forse a causa di un errore comunicativo) il muro di Berlino, simbolo pluridecennale della divisione tra il mondo occidentale e quello sovietico, venne attraversato liberamente dai cittadini, lasciando intravedere l’imminente caduta dell’Unione Sovietica e probabilmente la fine del socialismo reale.

La via italiana al socialismo

Sebbene il PCI sia stato legato sin dalla nascita al PCUS e all’internazionale comunista, esso aveva un’identità ben distinta, tanto che nel 1956 una parte consistente del partito criticò la repressione delle rivolte in Ungheria (su tutti si opposero alla linea dell’allora segretario Di Vittorio e Longo) da parte dell’URSS.
A marcare ancora più nettamente queste differenze fino a una quasi rottura con il PCUS fu la segreteria di Berlinguer: forse il maggior esponente del cosiddetto “eurocomunismo”, che sebbene rivendicava l’identità comunista, l’eredità di Lenin e le differenze con i socialdemocratici, prese nettamente le distanze con l’URSS.
Le divergenze, sebbene non arrivarono mai a una rottura totale (il PCI aveva infatti diverse correnti come vedremo), sfociarono in una dichiarazione di preferenza della NATO rispetto all’URSS da parte di Berlinguer e in un attentato (fallito) da parte del KGB che cercò di far fuori il segretario italiano.

La morte di Berlinguer nel 1984 fece salire Natta (politicamente vicino al predecessore) alla segreteria, il quale però peccava di scarso carisma e nel 1988 si dimise a seguito di un infarto.
A Natta seguì Occhetto, esponente di una generazione più giovane con una linea marcatamente più centrista rispetto ai suoi predecessori, il quale diede vita al “nuovo corso” del PCI.

Si arrivò dunque al 12 novembre 1989, la storica svolta della Bolognina: a sorpresa pochi giorni dopo il crollo del muro Occhetto annunciò in una sezione storica il cambiamento del nome del partito.

Le correnti

De Lucia nel suo libro “Dal PCI al PD” individua 5 principali correnti all’interno del PCI durante quegli anni:

  1. Miglioristi: erano la destra del partito, molto vicini al PSI confluirono quasi tutti nel PDS. Il personaggio più importante era Napolitano.
  2. Berlingueriani: erano il centro del partito, da questa corrente vennero personaggi importanti quali Natta, Occhetto, Fassino, D’Alema e Veltroni.
  3. Cossuttiani: filosovietici e contrari al compromesso storico, molti di loro confluirono poi in Rifondazione Comunista. Rilevano Cossutta, Diliberto e Rizzo.
  4. Ingraiani: vicini all’URSS e a movimenti come quello ecologista e quello femminista. Rilevano in questa correnti Ingrao, Bertinotti e Vendola.
  5. Il Manifesto: originata dagli ingraiani erano però critici verso l’URSS.

Di queste correnti, sebbene con alcune defezioni sia da una parte che dall’altra, solo i miglioristi e i berlingueriani erano a favore dello scioglimento del partito. In particolare i berlingueriani sono stati i principali fautori del passaggio al PDS.

Le mozioni

In un clima di forte tensione si arrivò quindi al XIX congresso, l’annuncio del cambio del nome come spiegato in precedenza era stato fatto senza aver prima consultato né la segreteria né la direzione generale, motivo per cui fu ampiamente contestato.

Le mozioni in campo furono 3: la prima, firmata dal segretario Occhetto, spingeva per un cambio di nome e simbolo. L’idea era non soltanto quella di cambiare la forma ma anche la sostanza, ovvero di trovare un nuovo corso per la sinistra oramai post-comunista, possibilmente (come volevano i miglioristi) all’interno dell’internazionale socialista. Questa mozione vinse con il 67% dei voti.
La seconda mozione, firmata da Natta e Ingrao si opponeva a tale cambiamento, così come la terza firmata da Cossutta. Entrambe le mozioni di minoranza vedevano nella linea dell’allora segretario un’abiura della storia e della tradizione del partito, e pertanto si opposero con forza al nuovo corso. La mozione Natta/ingrao prese il 30%, la mozione di Cossutta il 3%.

Il seguito

Un anno dopo, nel gennaio del 1991, si tenne il XX congresso, in cui il PCI si sciolse definitivamente per divenire PDS. Gli oppositori della mozione vincente del XIX congresso si opposero nuovamente alla mozione vincente, ed uscendone sconfitti decisero di non aderire al nuovo partito, fondando quella che poi sarebbe divenuta Rifondazione Comunista.