Nella sera di Mercoledì il Parlamento kosovaro ha sfiduciato il governo guidato da Albin Kurti, nato a Febbraio dall’alleanza tra i nazionalisti albanesi di sinistra di Vetevendosje, di cui Kurti è il leader, e i social-conservatori dell’LDK, promotori della mozione.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la rimozione di Agim Veliu, Ministro dell’Interno in quota LDK, per il suo sostegno alla richiesta del presidente Hashim Thaçi di dichiarare lo stato di emergenza per fronteggiare l’avanzata nel paese del coronavirus.
Mentre il premier Kurti sosteneva l’adozione di misure drastiche sulla scia di quelle adottate dalla maggior parte dei paesi europei, Thaçi le bollava come incostituzionali, invitando i cittadini a non rispettare il coprifuoco imposto. Il Presidente ha quindi proposto lo stato d’emergenza, avocando a sé competenze proprie dell’esecutivo.
Il rapporto con tra Kurti e l’LDK si è inoltre incrinato sul tema “dazi” con la Serbia: introdotti dall’esecutivo dell’ex Primo Ministro Ramush Haradinaj dazi doganali del 100% sulle merci provenienti dalla Serbia dopo il niet diplomatico di Belgrado sull’ingresso del Kosovo nell’INTERPOL, l’attuale capo del governo si è impegnato a rimuoverli gradualmente al fine di rilanciare il dialogo mediato dall’Unione Europea, chiedendo però il principio di reciprocità.
Una scelta non appoggiata dagli Stati Uniti, principali sponsor dell’indipendenza di Pristina e che hanno richiesto una eliminazione totale e immediata, che hanno visto accodarsi Thaçi e l’LDK, non disposti ad inimicarsi l’alleato a stelle e strisce.