Campagna elettorale tra realtà e fantascienza
La campagna elettorale che stiamo viveno è sempre più costellata di veri e propri coups de théâtre, colpi di scena e promesse da parte dei politici, che in taluni casi hanno ormai smesso di parlare alla parte razionale del Paese per rivolgersi invece alla sfera emozionale e istintiva, alla cosiddetta “pancia” dell’elettorato.
Non si tratta, in effetti, di una novità per il nostro Paese, dove l’iperbole e la delegittimazione dell’avversario sono state da sempre parte fondamentale della tattica e della strategia elettorale, ben più della presentazione organica del proprio programma e della propria visione politica. Si tratta ormai di tecniche collaudate, e malgrado l’uso – e l’abuso – ormai sistematico in qualsiasi consultazione elettorale, ancora di sicuro successo nella conquista del corpo elettorale.
[ad]Proprio l’esistenza di una scienza della manipolazione sistematica costituisce un vulnus del processo democratico, in quanto contamina il reale tema della campagna elettorale – il confronto tra diveste proposte di governo e amministrazione – con tematiche differenti, che distolgono il cittadino elettore dall’analisi critica delle proposte di governo per condurlo a utilizzare parametri di giudizio evidentemente sub-ottimali.DISCLAIMER: nell’articolo che segue sono riportati e commentati passaggi del racconto EVIDENCE (1946), di Isaac Asimov
È innegabile che la maturità politica e democratica di un popolo passa anche dagli “anticorpi” che esso sviluppa contro questi tentativi di manipolazione, ed è altresì evidente come il nostro Paese difetti ancora delle qualità necessarie – livello di istruzione, capacità critica, visione di ampio respiro – per potersi definire realmente maturo.
Pubblicato nel 1946, poco dopo la fine della II Guerra Mondiale, il racconto EVIDENCE di Isaac Asimov racconta proprio la storia di una campagna elettorale, mettendo bene a nudo, con il consueto acume psicologico e introspettivo, le dinamiche del confronto tra una campagna incentrata sui contenuti ed una invece fondata sulla demolizione della credibilità dell’avversario.
Stephen Byerley è un avvocato, un procuratore di successo e un uomo contrario alla pena di morte. Corre per la candidatura a sindaco di una grande città non meglio precisata, presumibilmente New York, ma la macchina politica di Francis Quinn, un candidato suo avversario, complotta contro di lui, sostenendo che si tratta di un robot umanoide. Una campagna puntata a risvegliare il “Complesso di Frankenstein” e l’isteria delle masse, che rovinerebbero di sicuro la campagna elettorale de procuratore, senza contare che un robot – o presunto tale – non può partecipare come candidato ad appuntamenti elettorali.
Quinn riesce ad ottenere la collaborazione forzosa della US Robots, azienda costruttrice di robot, nella raccolta delle prove della non umanità di Byerley minacciando di associare il nome della società allo scandalo.
Tutti i tentativi di dimostrare o confutare la non umanità di Byerley però falliscono. Visitando infatti gli uffici della US robots, Byerley incontra la robopsicologa Susan Calvin, personaggio ricorrente dei racconti di Asimov, che gli offre una mela: Byerley la addenta e ne mangia un boccone, ma ciò non viene ritenuto determinante per provare l’umanità del candidato, in quanto appare plausibile che un robot possa essere dotato di sistemi di emergenza per espletare le funzionalià umane come la digestione.
Anche il tentativo con un macchina fotografica a raggi X non funziona dato che Byerley indossa preventivamente un dispositivo che oscura le foto della suddetta camera. Attraverso tutte queste indagini, Byerley resta calmo e sorridente, sottolineando che lui sta solo difendendo i propri diritti civili, così si sarebbe impegnato a fare per i suoi cittadini, una volta eletto sindaco.
Una volta che tutti i mezzi fisici sono esauriti, Susan Calvin decide di ricorrere a quelli psicologici. Se Byerley è un robot, deve obbedire per forza alle tre leggi della robotica: se non lo facesse, sarebbe sicuramente un essere umano dal momento che un robot non può contraddire la propria programmazione di base. Tuttavia, se Byerley obbedisse alle leggi, ancora non sarebbe dimostrabile che è un robot dal momento che le leggi sono state modellate sulla moralità in generale, e potrebbe trattarsi semplicemente di un uomo modello.
La svolta avviene quando, in chiusura della campagna elettorale, Byerley tiene un discorso e un disturbatore giunge sul palcoscenico chiedendogli di essere colpito in faccia per dimostrare che lui non ne è in grado dato che è un robot, insultandolo pesantemente per la sua non-umanità. Byerley questa volta non si trattiene e lo colpisce con un pugno sul mento. Molte persone a quel punto si convincono dell’umanità del candidato e l’onda emotiva generata dall’evento consente al procuratore di vincere le elezioni a mani basse.
Tempo dopo, Susan Calvin si trova a colloquio con Byerley e gli espone la sua versione dei fatti: la robopsicologa ritiene che Byerley sia davvero un robot, e che per non violare la prima legge della robotica durante il comizio abbia colpito un altro robot creato appositamente per quello scopo dal suo stesso creatore. Dopo aver detto ciò si congeda dicendogli che voterà per lui alla successiva elezione.
Al di là della altissima strategia narrativa del racconto, è interessante l’analisi della campagna elettorale condotta dai due candidati. Quinn è cinico, aggressivo, manipolatore, e decide di puntare ogni cosa sullo screditamento dell’avversario. Byerley, al contrario, trae spunto dall’attacco dell’avversario per mostrarsi come un paladino dei diritti civili, rimandando all’ultimo istante il confronto diretto con le accuse di Quinn per sfruttarle quasi come una vetrina dell’operato di cui si renderà artefice se eletto.
La storia di Asimov termina con un lieto fine: la tensione narrativa si scioglie nell’ultimo comizio con il pugno tirato al contestatore, Byerley vince le elezioni, e l’autore non rinuncia a lanciare l’ultima provocazione nelle insinuazioni della Dottoressa Calvin. Il lettore è naturalmente soddisfatto dell’esito del voto, dal momento che i ruoli del “buono” e del “cattivo” sono chiari e ben definiti.
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