In questi giorni il movimento politico di Oscar Giannino, “Fare per Fermare il declino” sta attirando sempre più attenzione mediatica.
[ad]La popolarità e l’eccentricità del personaggio (che riscuote uno straordinario successo su Internet, anche attraverso una proliferazione di iniziative satiriche come l’ormai celebre Oscar Giannetto o Accelerare il Declino, sul cui sito si può trovare perfino un’intervista satirica allo stesso Giannino) rappresentano sicuramente una forte spinta per i consensi del neonato movimento.
Il conflitto con Berlusconi poi, che più volte negli ultimi giorni ha sconsigliato di votare per Giannino, o gli ha chiesto di ritirarsi accusandolo di farlo perdere, è stato abilmente sfruttato dal giornalista economico, che ha rivendicato orgogliosamente la sconfitta di Berlusconi come uno dei suoi obiettivi.
Se il mancato apparentamento con la lista di Monti rende più difficile la sfida per il nuovo movimento, d’altra parte consente alla formazione di guadagnare in chiarezza programmatica. Così nel programma di “Fare per Fermare il declino” viene alla luce una delle polarità della vera contrapposizione su cui dovrebbe giocarsi il conflitto politico in Europa: la polarità liberismo/keynesismo.
Se questa polarità fondamentale viene spesso oscurata nel dibattito pubblico da altre contrapposizioni (prima fra tutto quella tra populismo antipolitico e politica “responsabile”) essa è in verità centrale nelle scelte future che determineranno il modello di sviluppo dell’Unione Europea e del mondo intero.
Giannino si fa portatore di una precisa visione non solo economica, ma anche filosofica. Non a caso una della polemiche più ricorrenti che affiorano nei suoi interventi è quella contro lo “Stato etico”. L’idea è quella classica liberale secondo cui i compiti dello Stato dovrebbero essere limitati al minimo, per lasciare all’iniziativa dell’individuo lo spazio per dispiegarsi liberamente.
Per questo le ricette di politica economica sono tagli alla spesa pubblica, liberalizzzazioni, privatizzazioni. In questo Giannino critica Berlusconi per aver predicato tali idee (presentandosi nel ’94 come alfiere della “rivoluzione liberale”) per poi disattenderle largamente, facendo lievitare la spesa pubblica e trascurando le riforme.
Al lato opposto di questa contrapposizione ideale potremmo invece situare un personaggio come Stefano Fassina. L’analisi di Fassina, che presenta molte consonanze con le analisi di economisti come Stiglitz o Krugman, muove da una critica dell’egemonia neoliberista che è stata dominante nel mondo nell’ultimo trentennio.
La sfiducia nella capacità della politica economica di governare le contraddizioni dello sviluppo economico. Una rappresentazione idealizzata dei mercati e una sottovalutazione delle loro imperfezioni hanno portato a provvedimenti di deregulation. All‘indebolimento di corpi intermedi come sindacati e partiti, a una riduzione del perimetro dell’intervento statale in economia.
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[ad]Questo ha condotto a frequenti crisi finanziarie ed economiche, a un drastico aumento delle diseguaglianze e ad un progressivo assottigliarsi della classe media.
Per invertire questa tendenza occorre, secondo la visione di Fassina, abbandonare il pregiudizio contro l’intervento pubblico e riscoprire un’incisiva politica industriale che orienti lo sviluppo economico in una direzione compatibile con l’interesse generale e il benessere sociale (come peraltro è previsto anche dalla nostra costituzione).
Questa contrapposizione fondamentale rappresenta un terreno serio per impostare il confronto destra/sinistra, rifuggendo dagli argomenti populistici e dalle rappresentazioni caricaturali.
Naturalmente il quadro politico è assai più complesso e vi sono molte altre variabili da tenere in considerazione. Ma, per un’esigenza di pulizia del pensiero e per provare a dare un respiro meno provinciale al nostro dibattito interno è da qui che si potrebbe partire.