Obama vs Standard & Poor’s
Probabilmente si tratta della notizia più importante a livello economico tra quelle passate in secondo piano la scorsa settimana a causa della campagna elettorale italiana.
I nostri media hanno dedicato qualche titolo di rito, ma si tratta di un avvenimento più unico che raro: l’amministrazione Obama ha perpetrato una causa del valore di 5 miliardi di Dollari contro l’agenzia di rating Standard & Poor’s per aver scatenato la crisi dei mutui sub prime.
In maniera indiretta il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama accusa la più “blasonata” delle agenzie di aver dato il via a una vera e propria bolla che è deflagrata nell’attuale crisi.
[ad]Bisogna fare un passo indietro e capire che cosa significhi “mutuo sub prime“. Si tratta di prestiti ipotecari che vengono dati a soggetti che in passato hanno avuto una difficile storia di debitori. Si parla di persone che sono state insolventi o con un rapporto indebitamento/reddito troppo alto per poter accedere al credito a condizioni standard e per il quale è richiesto un tasso di interesse mediamente più alto del solito.
Nella prima metà degli anni 2000 negli Stati Uniti, la riduzione dei tassi di interesse voluta da Alan Greenspan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ha aumentato molto velocemente la richiesta di immobili e molte banche hanno stabilito che, una volta saturato il mercato dei debitori “prime”, i più solvibili, avrebbero cominciato ad attaccare quello dei sub prime. Nonostante la loro probabilità di insolvenza risultasse nettamente più alta.
In quel periodo storico il mercato immobiliare era una vera miniera d’oro offrendo opportunità e guadagni non solo al settore edilizio, ma pure a quello del credito, assicurativo e a una schiera di mediatori creditizi che abbinavano vendite immobiliari con concessione di mutui.
Restava in essere il rischio di insolvenza che le banche avevano ben visto di trasferire su altri soggetti per mezzo delle cartolarizzazioni. Anche questo termine non è nulla di speciale e fa parte di una prassi che permette alle banche di cedere il credito a una seconda società in cambio di liquidità che quindi reinveste nel sistema. Purtroppo per gli Stati Uniti, gli introiti derivanti da cartolarizzazioni venivano a loro volte investiti in mutui sub prime e quindi ricartolarizzati.
Ma fino a qui tutto sarebbe stato normale se non che le società di cartolarizzazione, avendo in mano mutui con alto rischio di credito, hanno deciso di trasformarli in obbligazioni, ovvero, vendevano obbligazioni con sottostanti i mutui. Di fatto trasferivano a loro volta il rischio sugli obbligazionisti, incassando l’importo delle vendite di obbligazioni e speculando sul differenziale tra l’interesse che pagavano i mutuatari e il tasso riconosciuto ai sottoscrittori dei titoli.
Per evitare che il rischio si concentrasse solo su una tipologia di mutuo, le cartolarizzazioni sono state spacchettate per essere ricomposte differenziando a livello quasi infinitesimale i singoli mutui dentro di esse.
Una delle regole della finanza recita che la diversificazione degli asset porta a una riduzione del rischio perché riduce la correlazione tra gli stessi, peccato però che la base di tutto questo fossero i tassi di interesse. Iniziati a salire nel 2005 portando alle prime insolvenze all’inizio del 2007.
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