Alfano, il perdente di successo

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Alfano è Il grande sconfitto della politica italiana degli ultimi mesi. Dopo l’incarico a Monti del Novembre 2011 il segretario del PDL ha avuto in mano una grande possibilità, quella di approfittare di una sostanziale scomparsa di Berlusconi dai mezzi di comunicazione di massa per prendersi in mano il partito.

Per una lunghissima fase sembrava esserci riuscito: fatte salve le opinioni di qualche eccentrico protagonista, pareva che la totalità del PDL si schierasse compatta al suo fianco. La sua strategia si è concretizzata essenzialmente nell’intento di dar luogo alle primarie di partito per scegliere il candidato alla premiership.

[ad]Primarie che nella sua visione sarebbero dovute consistere in una sua incoronazione, dato lo scarso peso politico degli sfidanti che gli si presentavano contro (alcuni forse in grado di ottenere buone prestazioni personali, come la Meloni, ma comunque assolutamente non competitivi se si parla di vittoria finale), e dato il sostegno sostanzialmente plebiscitario che gli veniva professato da tutte le aree politiche del partito (ex An compresi).

A fine ottobre, la lettera in cui Berlusconi annunciava il ritiro sembrava finalmente dare il via libera a questa prospettiva. Ma solo due giorni dopo, a seguito della sentenza di condanna nei suoi confronti nel processo Mediaset, Berlusconi annunciava la sua permanenza in campo. Rimettendo di nuovo in dubbio tutto. Dopo la scottante sconfitta siciliana, Alfano ha quindi impresso una accelerata, annunciando data e regole delle primarie del partito, nella speranza di mettere Berlusconi di fronte al fatto compiuto.

Il mese di novembre è stato assolutamente terribile per il PDL. Da una parte Alfano, ostentando sicurezza sui programmi fatti, dava inizio alla sua campagna elettorale. Dall’altra uomini e donne vicine a Berlusconi ne annunciavano l’imminente ritorno in campo in prima persona e ne riferivano la delusione e l’irritazione nei confronti del partito.

Si paventavano scissioni ogni giorno, sia sul versante centrista che sul versante di destra. La classe dirigente del partito, nel più totale imbarazzo, taceva per evitare di prendere posizione. Senza contare le clamorose incoerenze di merito sui programmi: l’intento di mantenersi nell’ambito del popolarismo europeo ed il sostegno al governo Monti parevano frustrati dalle posizioni fortemente antitedesche esplicitamente manifestate da Berlusconi.

Questo imbuto di contraddizioni ha finalmente trovato sfogo il 6 dicembre, in un lungo e cruciale vertice del partito. Molte le questioni sul tavolo: il ruolo di Berlusconi, il ruolo di Alfano, le primarie, il sostegno o la sfiducia al governo Monti, la posizione del partito sulla legge elettorale, l’eventualità dell’election day. Un nodo intricatissimo che il PDL è riuscito a sbrogliare con una delle più classiche piroette alla Berlusconi: senza preoccuparsi della coerenza con tutto quello che aveva detto e fatto nell’annata precedente, il leader del PDL ha ottenuto un successo su tutta la linea nei confronti dei suoi sodali. Ha ottenuto di essere il candidato premier del suo partito smentendo quel ritiro e quelle primarie che lui stesso aveva annunciati 40 giorni prima, ha ottenuto che il PDL sfiduciasse di fatto quel governo Monti al quale aveva votato un anno intero di fiducie, ha ottenuto di far saltare il tavolo sulla legge elettorale, evitando il ritorno a quelle preferenze che di fatto gli avrebbero tolto il partito dalle mani, consegnandolo ai “signori delle tessere”. Alfano è stato detronizzato, umiliato e relegato nell’ombra: tutti coloro che fino a pochi minuti prima lo sostenevano tornavano entusiasti a baciare le pantofole al vero e unico Capo.

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Non solo: a rendere il tutto addirittura ridicolo, è stata la piroetta del mese successivo. Dopo aver lanciato nel panico il partito per un mese, dopo averlo esposto a figuracce atroci, e dopo aver annichilito il segretario da lui stesso nominato per potersi ricandidare alle sue condizioni, a Berlusconi è bastato un secondo per rinunciare a tutto questo, non appena è stata la Lega a chiederglielo. Insomma: ciò che Alfano non è riuscito ad ottenere in un intero anno di lavoro, Maroni l’ha ottenuto in una cena.

[ad]In quei giorni sembrava addirittura incredibile che Alfano fosse stato disposto ad accettare tutto ciò senza dimettersi. Eppure, dalle dichiarazioni combinate dei vari protagonisti, non si riusciva veramente a capire quali fossero state le contropartite che il segretario era riuscito ad ottenere in cambio di una genuflessione di tale portata. In particolare, destò particolare stupore una dichiarazione di Berlusconi: a suo dire, solo il 10% dei parlamentari PDL uscenti sarebbe stato ricandidato. Al panico dei minuti successivi seguì una rapida, ma parziale smentita: il 50% dei nuovi eletti sarebbe stato composto da matricole, e i parlamentari uscenti, con una particolare predilezione per coloro che non sono politici di professione, sarebbero stati collocati all’interno del restante 50%, composto quasi interamente da esponenti del mondo delle professioni e dell’impresa. Ora, come è possibile che un partito quasi interamente destinato al pensionamento forzato accetti, proprio per ordine di colui che tale pensionamento gli impone, di sfiduciare Monti, di correre al voto, di rinunciare alle preferenze e di rinunciare alle primarie? Il conto non tornava, ma adesso che sono state rese note le liste la situazione è molto, molto più chiara.

Con l’ennesima contraddizione rispetto alle dichiarazioni precedenti, Berlusconi ha accettato senza problemi che più del 60% dei parlamentari PDL uscenti venissero ricandidati, e che il 40% di essi sia stato collocato in posizioni eleggibili. In un contesto di contrazione evidente del numero di rappresentanti, significa che più del 75% dei prossimi gruppi parlamentari del PDL sarà composto da uscenti rieletti, ovvero, in gran parte, dalla classe politica che fino ad un mese fa sosteneva Alfano alle primarie. Ecco, dunque, la contropartita. Alfano ha accettato di tornare a fare il gregario e di esporsi ad una figuraccia come quella che ha fatto in cambio di una semplice cosa: svolgere un ruolo primario nella compilazione delle liste. Non è un caso che alla fine Alfano abbia avuto la meglio nella decisione finale sulla esclusione di Dell’Utri e Cosentino. Questo ovviamente non significa che i parlamentari del PDL della prossima legislatura saranno tutti degli alfaniani convinti. Significa semplicemente che nei gruppi parlamentari si ripresenterà quella divisione verticale che ha caratterizzato il PDL degli ultimi mesi: quella cioè fra “politici” da una parte, e berlusconiani di ferro dall’altra. Il tutto condito da un tasso di conflittualità piuttosto aspro, come comprensibile vista la mole di astio accumulata ultimamente, un polverone che solo nell’ultimo mese Berlusconi sta riuscendo a nascondere sotto il tappeto mediatico della campagna elettorale.

Ora, anche se al momento appare piuttosto improbabile, ipotizziamo che Bersani e Vendola riescano ad ottenere una maggioranza anche al Senato, e che pertanto il centro di Monti, Casini e Fini si ritrovi all’opposizione, senza responsabilità di governo. Oppure, scenario più probabile, ipotizziamo che Monti si rifiuti di governare con Vendola e che pertanto l’unica soluzione alternativa ad un disastroso ritorno alle urne sia una grande coalizione con chi ci sta. In entrambi questi casi, Alfano avrebbe la possibilità di fare ciò che doveva e non gli è riuscito fare alla fine di questa legislatura: mollare Berlusconi sull’estrema destra e costruire con i centristi la costola italiana del PPE. Prima del voto 2013 non lo ha fatto perché sapeva che se avesse rotto con Berlusconi, quest’ultimo gli avrebbe portato via tutti i voti. Ma una volta ottenuto, grazie ai voti del Capo, il suo consistente drappello di parlamentari, ad anni di distanza dalla successiva tornata elettorale, e soprattutto con un Berlusconi ottantenne, sotto costante processo invece che a Palazzo Chigi, le cose potrebbero essere diverse. E, da perdente di successo, Alfano potrebbe trasformarsi in un vincitore a sorpresa.