Berlusconi temeva la cappa mediatica generata dal 63° Festival della Canzone Italiana sulle ultime due settimane di campagna elettorale per le elezioni politiche. “Gli italiani possono pur sempre cambiare canale, ma l’attenzione nei confronti della politica diminuisce durante la kermesse sanremese”. Questa nella sostanza l’opinione berlusconiana.
Una tesi rafforzata dall’immensa notizia dell’abdicazione del Papa e dal fatto che il Festival, a sorpresa di molti e senza cadere in provocazioni, è stato abbastanza “impolitico” se si esclude la performance di Maurizio Crozza nella prima puntata di martedì sera (dove tra l’altro il comico genovese ha passato in rassegna quasi tutte le sue imitazioni politiche, sulla falsariga dei suoi consueti show settimanali su RaiTre e La7). Una mancanza di politica all’Ariston che ha portato ad un conseguente successo del Festival dovuto al fatto che questa volta c’era un’alternativa televisiva all’overdose politica quanto mai poco edificante di questa tornata elettorale.
[ad]Ma nella pratica a cosa si riferiva Berlusconi?
Durante il Festival di Sanremo la gente non guarda i telegiornali nazionali? Assolutamente no. Si tratta di una fascia oraria ben diversa da quella di Sanremo e i telegiornali nazionali delle 20.00 sono di gran lunga i programmi più visti in televisione.
Si riferiva forse ai talk show della sera? Forse, ma solo parzialmente. Ballarò infatti non è proprio andato in onda (c’è forte comunanza di vedute tra il Sanremo di Fazio e la terza rete di Viale Mazzini…) e da questo punto di vista Berlusconi avrà perso al massimo un paio di possibilità di apparire in tv destando il reale interesse dei telespettatori.
La realtà è che presumibilmente Berlusconi si riferiva ad uno specifico spazio televisivo che in effetti è finito nel dimenticatoio a causa delle canzoni del Festival: le tribune elettorali su Rai2.
Per i meno attenti: dalla giornata di lunedì 11 febbraio la programmazione della prima serata su Rai2 è abbastanza monotona. Infatti si tengono delle conferenze stampa in cui al massimo quattro giornalisti interrogano un esponente di tutte le formazioni politiche presenti alle prossime elezioni.
Potete immaginare che la tribuna elettorale di Marco Ferrando, leader del Partito dei Comunisti dei Lavoratori, la sera della prima puntata di Sanremo (tra l’altro di un’edizione in cui Sanremo è andato molto bene in termini di audience) subisce la concorrenza del duo Fazio-Littizzetto sul palco dell’Ariston.
Probabilmente Berlusconi avrebbe voluto sfruttare quella vetrina per apparire in prima serata su Raidue. Cosa da non sottovalutare a meno di 14 giorni dal voto. Ma per spiegare il perché di questa preoccupazione del leader del centrodestra è utile fare una piccola digressione di carattere storico sulla storia dei dibattiti tv nel nostro Paese.
Da quando è iniziata la Seconda Repubblica, e dunque da quando è possibile seppur in maniera indiretta da parte dell’elettore scegliere il futuro presidente del consiglio, si è sempre posto il problema di organizzare un incontro tra i principali contendenti per la poltrona di Palazzo Chigi.
Un confronto all’americana fortemente condizionato dalla sempiterna presenza, dal 1994 ad oggi, della polarizzazione figlia della discesa in campo di Berlusconi. In alcuni anni i dibattiti si sono fatti. In altri no.
“Per proseguire la lettura cliccate su “2”)
[ad]Il criterio è sempre stato il seguente: il centrosinistra (che nonostante la sua forte carica ereditaria presa dell’esperienza storica del Pci da questo punto di vista ha dato un notevole contributo alla normalizzazione del sistema politico nazionale) ha sempre accettato di partecipare ad un confronto tv tra il suo leader e quello della destra (sempre Berlusconi).
Berlusconi ha sempre accettato quando si trovava in svantaggio o necessitava di farsi conoscere meglio agli occhi degli elettori (1994, 1996, 2006) mentre ha sempre rifiutato quando si trovava in testa ai sondaggi (2001, 2008).
Il dibattito infatti rischia di logorare maggiormente chi è in testa. Chi si trova in svantaggio non ha niente da perdere. Anzi. Ha un’occasione per tentare di rimontare.
E’ dunque oggettivamente chiaro che Berlusconi ha rigettato, a differenza del centrosinistra, o rifiutato la possibilità di partecipare a dei confronti televisivi a seconda della propria convenienza personale. Quest’anno invece si è creata un’anomalia in questo sistema.
Berlusconi infatti è in svantaggio. Teoricamente necessiterebbe di un confronto, che in effetti ha chiesto più volte. La grande novità di quest’anno è che per la prima volta della storia un leader del centrosinistra de facto ha rifiutato il confronto col centrodestra.
Secondo la vulgata comune Bersani ha molte qualità. Ma tra queste non pare esserci quello di essere bravissimo nei duelli tv (per quanto una scuola di pensiero ritiene che la sua tranquillità, e dunque la sua incapacità televisiva, rassicuri molto l’elettorato e lo aiuti a superare le prove più difficili. Della serie: conservatorismo compassionevole.).
Di conseguenza Bersani, con un’abile stratagemma, anziché dire apertamente “non voglio il confronto tv perché rischio di perderlo”, coerente con un’impostazione di tipo berlusconiano, ha utilizzato uno stratagemma di stampo doroteo proponendo un confronto a 6 (Bersani, Berlusconi, Monti, Ingroia, Grillo e Giannino) illogico e di fatto impossibile da organizzare.
Illogico perché non si capisce perché questi sei sarebbero dovuti essere i protagonisti del dibattito (il numero di voti? Se vuoi invitare solo chi supera una determinata soglia, per esempio il 10%, non dovresti invitare né Ingroia né Giannino. Occorre invitare tutti? Questi sei non rappresentano tutte le liste o coalizioni in campo ecc…), impossibile da realizzare in quanto è noto a tutti quanto Grillo non voglia apparire in televisione soprattutto per eventi di questo tipo.
Bersani ha dunque legato l’esistenza o meno del dibattito di quest’anno alle decisioni altrui. Avendo rifiutato Grillo, e lo stesso Berlusconi questa formula a 6, è riuscito a evitare il confronto televisivo additando agli altri la responsabilità del forfait e cancellando l’unica vera verità: Bersani non voleva il confronto con nessun leader di coalizione, tantomeno con Berlusconi e Monti.
L’unica arma per Berlusconi a questo punto era la tribuna elettorale su Rai2 in prima serata. Come nel 2008 nella stessa sera si sarebbero succedute le conferenze stampa del PD e del PdL.
Ma la presenza di Sanremo è stata letale. E dunque Bersani ha bypassato l’evento mandando in video Franceschini, mentre Berlusconi si è dovuto accontentare di mandare il suo ideologo del momento: Renato Brunetta
In questo modo Bersani ha bypassato in maniera molto democristiana un pericolo mediatico e comunicativo (che però sarebbe stato molto gradito dalla cittadinanza), Berlusconi ha perso un’occasione per promesse mirabolanti e tentativi di recupero in extremis e le conferenze stampa sono diventate più che altro terreno fertile per i vari Samorì, Ferrando, Catone, Fatuzzo e Cuccureddu di Grande Sud.
Tutti Re per una notte.