La giornata di domenica 17 febbraio, l’ultima domenica prima del voto alle politiche, ha avuto un significato particolare per la coalizione di centrosinistra guidata da Pierluigi Bersani.
Il comizio tenuto in Piazza del Duomo, che ha visto come protagonisti – oltre allo stesso Bersani – Nichi Vendola, Bruno Tabacci, Giuliano Pisapia e il candidato alla presidenza della Lombardia Umberto Ambrosoli, ha avuto un valore simbolico altissimo per la coalizione, e se difficilmente potrà considerarsi risolutivo ai fini della campagna elettorale, è d’altra parte molto significativo per cogliere da un lato l’umore del Paese e dall’altro la strategia elettorale della coalizione progressista. Strategia criticata nelle sue fasi iniziali ma che nel corso del mese di febbraio ha preso slancio.
[ad]Il primo elemento da considerare, al di là di ogni dubbio, è la capacità che (ancora?) il centrosinistra ha di riempire le piazze. Si era tanto parlato della conduzione della campagna elettorale da parte dei cosiddetti partiti tradizionali, relegati nei palazzetti e nei teatri, rispetto al travolgente Beppe Grillo, capace di riempire all’inverosimile ogni piazza in cui si sono tenuti i suoi comizi.
Con la manifestazione di Milano il centrosinistra ha dato una risposta esemplare a chi non lo vedeva più in grado di conquistare le piazze, terreno naturale dell’antico PCI. Quindi scollegato dal proprio popolo. Rinnovando con questo comizio lo spirito delle primarie, la coalizione di centrosinistra “Italia Bene Comune” ha dimostrato di essere una forza tutto sommato vitale nella carne del Paese. E non solo nei palazzi della politica e dell‘amministrazione.
Il secondo tema è naturalmente la location. Non è un mistero che da sempre sono le zone più contendibili del Paese quelle battute dai leader politici in prossimità delle elezioni. A maggior ragione questo è vero con una legge elettorale che assegna premi di maggioranza su base regionale e se assieme al voto per le elezioni politiche si tiene anche quello per la conquista della regione. Il messaggio è chiaro: oggi la Lombardia, la patria di Berlusconi e della Lega, il cuore dell’impero di Formigoni, uno dei più grandi serbatoi di voti della destra italiana, è considerata dal centrosinistra reale terreno di conquista. Il tentativo di compimento di una vera e propria rivoluzione copernicana della politica italiana iniziato nel 2011 con la vittoria di Giuliano Pisapia al Comune di Milano.
Il semplice fatto che il comizio si sia tenuto a Milano ha un impatto psicologico da non sottovalutare. La Lombardia è contendibile, il centrosinistra è competitivo in questa regione storicamente ostile. Il centrodestra è assediato letteralmente nel proprio giardino di casa.
La prova di forza è evidente, e dagli effetti psicologici tutto sommato incerti, in quanto potrebbe tanto far vacillare le ultime certezze dell’elettorato di centrodestra in regione quanto ricompattarlo in difesa della roccaforte in pericolo.
Resta in ogni caso l’immagine di un centrosinistra determinato – solo con il senno di poi si potrà capire se per arroganza o ben riposta fiducia nei propri mezzi – e votato all’attacco, sicuramente un leit motiv a cui gli ultimi anni di politica interna avevano decisamente disabituato.
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[ad]Il terzo tema ha un nome ed un cognome: Romano Prodi. A sorpresa l’ex Presidente del Consiglio, l’uomo che ha battuto due volte Berlusconi sul campo, torna in piazza, ed è proprio questo, forse, il punto più interessante e pieno di conseguenze.
L’utilizzo della figura di Romano Prodi è forse il punto più emblematico del tipo di campagna elettorale che Pierluigi Bersani ha impostato per tentare di vincere le elezioni politiche, una campagna volta più al recupero dei voti di centrosinistra che alla conquista dell’elettorato moderato.
È innegabile, infatti, che Prodi sia un vero e proprio totem per il popolo ulivista e di sinistra in generale, ma al tempo stesso, proprio per la sua figura di contrapposizione totale con Berlusconi in un tempo in cui il bipolarismo politico si era trasformato in un bipolarimo reale nel Paese, generi vere e proprie reazioni di rigetto nell’elettorato di centrodestra.
Il messaggio è chiaro: Bersani vuole chiamare a raccolta il suo popolo, mantenerlo compatto contro le erosioni da destra (Monti, Grillo) e da sinistra (Ingroia), lasciando che sia l’elettorato moderato invece a dividersi tra i tre o quattro competitor che affollano l’area. Vi è tuttavia un secondo livello, più profondo, nella presenza di Romano Prodi sul palco meneghino, e riguarda la delicatissima successione di Giorgio Napolitano.
Se Prodi è uno sponsor di Bersani, il legame è naturalmente a doppio senso. Tramontata la candidatura naturale di Mario Monti per via del suo impegno diretto nelle elezioni politiche, si rafforza naturalmente l’ipotesi di Prodi come prossimo inquilino del Quirinale in caso di vittoria del centrosinistra nelle votazioni.
Bersani, ormai da mesi, auspica una collaborazione – che i numeri in Parlamento stabiliranno se si tratterà solo di collaborazione piuttosto che di vera e propria alleanza – con il centro montiano. L’inserimento della figura, comunque moderata per quanto storicamente nemica, di Prodi all’interno di questo solco è un importante aiuto al Professore per permettergli di essere accettato e votato dai centristi al momento dell’elezione del nuovo Capo dello Stato.
Ma la presenza di Prodi a Milano ha un terzo significato, dall’impatto simbolico ancora più forte.
Nelle ultime settimane Bersani si è fatto affiancare da Matteo Renzi nella sua campagna elettorale. Al di là del vantaggio in termini di consensi che il grande carisma del sindaco di Firenze può apportare a favore del centrosinistra presso l’elettorato più moderato, sia Renzi sia Bersani hanno ricevuto una reciproca legittimazione da questa collaborazione.
Renzi, mettendosi al servizio del partito malgrado la sconfitta alle primarie, si prefigura come il grande leader del futuro. Bersani si ritrova tra le mani un partito completamente ricomposto dopo i malumori che la marginalizzazione di Renzi poteva aver suscitato. Lo stesso fenomeno è avvenuto questa domenica con Prodi. La presenza del Professore sul palco fa di Bersani l’erede designato di una figura elettoralmente vincente, e con un virtuale passaggio di testimone trasforma la staffetta tra Prodi, Bersani e Renzi quasi in uno stream of consciousness tra passato, presente e futuro, in cui Bersani trova massima legittimazione come leader dell’attuale centrosinistra. Il tutto ad un’unica condizione. Vincere le elezioni.