Elezioni del 1994, con la Prima Repubblica al collasso, Berlusconi si rese protagonista di una grandiosa operazione politica.
Sfruttando alla perfezione una legge elettorale che i democristiani non avevano capito, o semplicemente non avevano potuto assecondare, riuscì nel complicatissimo compito di costruire dal nulla il centrodestra italiano. Ponendo Forza Italia in una posizione intermedia nella coalizione con Alleanza Nazionale e Lega Nord.
Alle elezioni del 1994, nei collegi uninominali, il centrodestra ottenne la bellezza di 302 collegi su 475 alla Camera, e 128 collegi su 232 al Senato. Un trionfo per un schieramento nato solo poche settimane prima. Gli eredi della DC, fino a due anni prima al 30% dei consensi, restarono in Parlamento solo grazie alla quota proporzionale, perdendo la centralità politica avuta sino ad allora. Il 15% circa che allora prese il PPI (assieme al suo alleato, il Patto Segni) rappresentava la fine di un’epoca.
[ad]Da allora, nonostante qualche incertezza iniziale, il bipolarismo italiano si è instaurato in modo molto rapido. Dopo 45 anni di stasi politica, gli italiani hanno potuto scegliere fra due poli contrapposti quale fosse quello più adatto a governarli, e lo hanno fatto sempre e senza paura: da allora non è mai capitato che rivincesse le elezioni chi le aveva vinte la volta prima, e la tanto agognata alternanza, per tanti anni semplicemente impossibile, è diventata addirittura la regola.
Ebbene, chi sperava che da questo semplice fatto sarebbe derivata la cura di ogni male, è inutile negarlo, è rimasto deluso.
I due poli che si sono alternati al governo si sono limitati, per la quasi totalità, a gestire l’ordinario sotto attenta dettatura da parte dell’Unione Europea, troppo divisi al loro interno e troppo furiosamente dediti a farsi la guerra a vicenda per affrontare il tema delle riforme strutturali.
Fino a quando l’economia ha retto, il sistema politico ha retto con essa, ed anzi si è prodotto nel titanico sforzo di dar vita ad un sistema meno frammentato, con la nascita di Partito Democratico da un lato e Popolo della Libertà dall’altro.
Ma quando il Paese è entrato in recessione, le inefficienze del passato sono riemerse in tutta la loro evidenza, e il sistema partitico si è limitato ad alzare le mani, dando carta bianca ai tecnici per evitare il baratro.
Erano in molti a sperare che i partiti avrebbero approfittato di questa opportunità per riformarsi, ma le tante parole spese in tal senso e le tante speranze si sono rivelate vane. La sconfitta di Renzi alle primarie ha ricacciato il PD, e il suo alleato Vendola, in una immagine che ben poco si discosta dai Progressisti di Occhetto. Almeno agli occhi della stragrande maggioranza dei cittadini.
Il ritorno di Berlusconi e la sua ennesima alleanza con la Lega hanno lanciato nello sconforto tutti coloro che avevano sperato nella nascita di un centrodestra moderato ed europeista. Senza parlare degli scandali giudiziari sempre alle porte e della, vergognosa, mancata riforma della legge elettorale.
Ebbene, l’impressione è molto simile a quella che dovette suscitare il 1994.
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[ad]Un sistema al collasso, e nuovi attori che si propongono di prenderne il posto. Da una parte lo stesso Monti che, disperato dall’eterno ritorno al passato che caratterizza il panorama circostante, si è lanciato nell’improbo compito di difendere il suo difficile operato. Dall’altra Grillo, magistrale nel rappresentare il disgusto di un popolo che da una parte, non ne può più di disonestà ed incapacità, ma dall’altra si rifiuta però di accettare i sacrifici imposti dalla situazione economica.
Ecco la prima differenza con il 1994: allora Berlusconi mise insieme il centrodestra contro ciò che rimaneva della Prima Repubblica, e vinse, fondando la Seconda. Oggi Monti e Grillo assaltano entrambi la Seconda ma lo fanno da posizioni lontane ed inconciliabili. Qui entra in gioco l’altra differenza rispetto al 1994, rappresentata dal sistema elettorale, che oggi potrebbe svolgere un ruolo inverso rispetto a quello che svolse allora.
In quella occasione fu fondamentale nel permettere a qualcuno di vincere in un contesto a dir poco caotico. Oggi, nella sua variante del Senato, rischia al contrario di impedire a chiunque di vincere. Quel centro al 15%, cha allora rappresentò la cascaggine di un passato in via di dissolvimento, oggi rappresenta forse l’unica forza capace di rendere possibile il governo del Paese.
Se Bersani perderà in due regioni tra Veneto, Lombardia, Campania e Sicilia, governare gli sarà impossibile. A quel punto, qualunque soluzione possibile non potrà non coinvolgere il centro montiano, e non potrà che coinvolgerlo in una posizione di preminenza, vista l’esigenza di mediazione imposta dalla distanza siderale che separa i due poli maggiori.
Gli attori che occupano la posizione centrale dello spettro politico ne sono perfettamente consapevoli e hanno atteso a lungo che lo scenario che oggi viviamo si concretizzasse in questa fisionomia. Casini e Fini hanno aspettato e pregato con tutta la loro forza che Renzi perdesse le primarie e che Berlusconi tornasse in campo ricollocando il PDL a destra. La “salita” in campo di Monti è il frutto di questa coppia di circostanze: è il tentativo di occupare uno spazio politico che altrimenti non si sarebbe aperto.
A questo punto Monti occupa una posizione veramente invidiabile: se Bersani e Vendola vinceranno potrà fare una seria opposizione, puntando a destrutturare il centrodestra e a ricostruirlo in una versione post-berlusconiana. Se Bersani e Vendola non riusciranno ad avere la maggioranza al Senato, sarà lui, sostanzialmente, a decidere con chi governare.
Se riterrà e troverà le condizioni, accetterà di governare con Vendola. Se al contrario, non lo dovesse ritenere, potrebbe proporre una grande coalizione fra le porzioni moderate dei vari schieramenti. E siamo proprio sicuri che, in quel caso, un PD ed un PDL divisi e spaventati da Grillo accettino di tornare al voto, con il medesimo sistema elettorale e con le stesse possibilità di pareggio?
E a quel punto sarà forse più chiaro anche il senso della scelta politica di Monti: siamo proprio sicuri che facendosi eleggere Capo dello Stato Monti avrebbe avuto un ruolo di tale portata? Non sarebbe forse finito, invece, con lo svolgere il ruolo del predicatore di pace nel bel mezzo di un Parlamento ingovernabile ed in perenne stato di guerra?