Il sistema partitico italiano è sempre stato molto frammentato: durante la Prima Repubblica i partiti rilevanti erano sempre gli stessi 8-9: un numero alto ma stabile nel corso del tempo.
[ad]Ciò che rendeva il sistema inefficiente non era tanto il numero di partiti quanto la loro polarizzazione. L’inesistenza di un polo di sinistra legittimato ad andare al governo ha costretto il polo conservatore ad assumere un atteggiamento centrista, alleandosi di volta in volta con più o meno piccoli partner coalizionali minori. L’impossibilità dell’alternanza ha pertanto comportato due conseguenze: una sostanziale paralisi quarantennale con il ruolo guida della Democrazia Cristiana, un fortissimo potere di ricatto da parte dei partiti laici minori con la correlativa instabilità di fondo degli esecutivi.
La Seconda Repubblica è stata caratterizzata da una radicale evoluzione sotto queste prospettive: la nascita di due poli per la prima volta legittimati a governare ha sbloccato la paralisi precedente dal punto di vista della possibilità dell’alternanza, ma l’esplosione del sistema politico e la permanenza, all’interno dei nuovi sistemi elettorali nazionali e locali, di norme molto permissive (o comunque interpretate in tal senso dai partiti maggiori) ha fatto sì che il numero di partiti si moltiplicasse.
Da una parte dunque, il fatto che fossero gli elettori a decidere direttamente chi dovesse governare ha consentito che i governi durassero più a lungo. Dall’altra la tendenza delle forze politiche a formare alleanze molto estese, frammentate ed eterogenee al fine di ottenere la vittoria ha prodotto governi paralizzati dalle divisioni interne.
La totale inefficienza di questo nuovo sistema è stata resa palese a tutti dalla terribile esperienza del governo Prodi II: la reazione di fronte a tali disfunzioni c’è stata. La nascita di due grandi partiti come il Partito Democratico e il Popolo della Libertà ha semplificato il quadro in modo molto evidente ma nel medio periodo si è rivelata una illusione.
Da una parte, nei primi anni dell’ultima legislatura i partiti minori delle due mini-coalizioni (Lega Nord e Italia dei Valori) hanno sottratto ai rispettivi partner una quota significativa del consenso. Dall’altra, nella seconda parte della legislatura, la scelta di Fini di rompere con lo schieramento di centrodestra ha prodotto l’inizio di una nuova fase di destrutturazione che ha portato ad un Parlamento frammentato esattamente come lo era quello precedente.
Se a questo aggiungiamo il fatto che alcuni soggetti politici oggi non rappresentati hanno la certezza di entrare in Parlamento, ed anche in misura massiccia, possiamo ragionevolmente dire che la prossima legislatura sarà caotica almeno quanto lo furono le prime della Seconda Repubblica.
La tabella mostra, per ciascuna elezione, il Numero effettivo di partiti elettorali (un indicatore che non si limita a contarli, ma ne pondera anche il peso percentuale), il numero di gruppi parlamentari (comprese le componenti del gruppo misto) costituiti alla Camera ad inizio legislatura, ed il numero di gruppi parlamentari esistenti alla fine di essa.
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[ad]Alcune tendenze sembrano costanti dal 1994 al 2008:
a) il numero di partiti cala progressivamente, con lo strutturarsi del sistema partitico della Seconda Repubblica;
b) il numero di gruppi parlamentari è sempre sensibilmente alto, superiore a quello che l’Italia aveva avuto nei decenni precedenti;
c) con l’eccezione della prima, tutte le legislature che prendiamo in esame qui vedono un proliferare dei gruppi parlamentari durante il loro svolgersi.
Così, nonostante nello scorso ventennio le dimensioni dei partiti maggiori siano progressivamente cresciute a danno di quelli minori (così si spiega il calo del Neff), i primi non sono mai riusciti a fare completamente a meno dei secondi dal punto di vista elettorale. Persino quando sono riusciti a fare lo sforzo di tenerli fuori dal Parlamento (2008), se li sono visti rinascere in seno nel corso della legislatura.
La frammentazione è stata uno dei grandi mali del bipolarismo italiano, ed ha certamente contribuito a determinarne la crisi irreversibile. Oggi ci sono almeno quattro poli rilevanti, e il primo non arriva al 35% dei voti. La Seconda Repubblica, che proprio dal bipolarismo è stata contraddistinta, sembra volgere al crepuscolo con esso: il Senato è talmente diviso da non garantire circa la formazione di alcun Governo.
Una Terza Repubblica dovrà prima o poi sorgere: un sistema istituzionale che permetta alle scelte individuali dei cittadini di trasformarsi, indirettamente ma chiaramente, in decisioni politiche riconoscibili e giudicabili dai cittadini stessi. Un sistema istituzionale che non si accontenti di rappresentare i dissensi reciproci, ma che permetta di superarli attraverso scelte chiare ed esplicite, di cui è evidente la responsabilità politica. Un sistema istituzionale che permetta ai cittadini di scegliere e di giudicare, per poter scegliere meglio la volta successiva. Per giungere a questa destinazione sono tantissime le cose da fare: certamente il tragitto è lungo e difficile, ma non è da escludere che un Parlamento sotto scacco, proprio perché costretto a farlo, trovi il coraggio di compierlo meglio di quelli che lo hanno preceduto.