Il Governo Monti e la “strana maggioranza”: un anno di scontri ed incontri
Crescita e Sviluppo
La crescita avrebbe dovuto rappresentare la cosiddetta “Fase 2” del Governo Monti, la promessa di un rilancio dell’economia dopo la “cura di antibiotici” quali tasse e rigore. Ne parla il Premier già nel discorso di insediamento, poi più volte il governo associa l’obiettivo “crescita” agli atti più rilevanti del suo mandato, come le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro.
[ad]Il primo vero e proprio provvedimento per la crescita è stato il “Decreto Sviluppo”, entrato nella discussione a marzo e divenuto legge agli inizi di agosto dopo una lunga gestazione, che ne ha minato la credibilità. Le richieste iniziali dei partiti di maggioranza erano piuttosto divergenti: il Pdl proponeva un alleggerimento fiscale, il Pd soprattutto una patrimoniale e un’imposta sui patrimoni scudati al fine di alleggerire l’IMU sulle famiglie con reddito medio-basso. Le bozze iniziali circolate tra i ministeri parlavano invece di detraibilità per mutui e ristrutturazioni, piani infrastrutturali, una rivisitazione degli incentivi fiscali (razionalizzarli per renderli anche più esigibili): bozze subito bloccate dal Ministero dell’Economia, con rammarico e comprensibile stizza dei ministri Passera e Profumo.
Più volte rinviato, il decreto Sviluppo è stato al centro di critiche da parte di Pd e Pdl, che ne hanno giudicato le prime bozze inadeguate a creare sviluppo, ma anche come detto degli stessi ministri interessati, in primis il titolare del dicastero dello Sviluppo, disponibile, pur di veder passare un provvedimento, di spacchettarlo in più tranche, di aspettare per misure più efficaci che si ritrovassero i fondi attraverso gli effetti della spending review (vedi sotto). Dopo il pressing (anche) del Capo dello Stato, il CdM è infine giunto all’approvazione di un piano per lo sviluppo da 80 mld, quindi persino più robusta di quanto richiesto inizialmente dal ministro Passera. Project bond, infrastrutture, Pmi e giovani nella Green Economy, un piano per la cosiddetta “Italia Digitale”, un “Piano Città”, agevolazioni per le ristrutturazioni e per la costituzione di Srl, una cura dimagrante per la PA, con le dismissioni di Fintecna, Sace e Simest e il taglio dei dirigenti della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Economia. La critica più dura al decreto è arrivata dal segretario del Pdl, Angelino Alfano, che su twitter ha ironizzato sulla reale consistenza del pacchetto: “I giornali annunciano 80 miliardi nel decreto legge sviluppo. Ci sembra che 79 siano virtuali, uno solo effettivamente stanziato… ah, l’avessimo fatto noi”. Ancor più sarcastico l’ex ministro Brunetta, che parla senza mezzi termini di specchietti per allodole e colpi di teatro.
Come detto il decreto è diventato legge il 3 agosto, con un iter piuttosto veloce nei due rami del Parlamento, che l’hanno “arricchito e raffinato” (cit. Passera) di ulteriori norme riguardanti il lavoro, l’edilizia, l’iva e la mobilità.
Come promesso, di crescita si è poi tornati a parlare alla fine di agosto, quando nel primo CdM dal ritorno dalle vacanze è stato presentato “Obiettivo crescita, l’agenda del Governo”, una summa del lavoro fatto sin ad allora con le prime proposte per gli ultimi mesi della legislatura. Proposte accolte con grande scetticismo dalla maggioranza: da Bersani a Cicchitto, finanche al segretario centrista Lorenzo Cesa, il richiamo è stato alla concretezza, alla necessità di cambiare passo, di passare dalle parole ai fatti. Il decreto Sviluppo-bis si può poi considerare l’ultimo atto del governo uscente, avendo ottenuto l’approvazione del Parlamento con l’astensione del partito guidato da Alfano a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Passera sull’inopportunità del ritorno sulla scena politica di Berlusconi. Di lì a poco, Monti rassegnò infatti le dimissioni e si cominciò la campagna elettorale anticipata.
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