Il Governo Monti e la “strana maggioranza”: un anno di scontri ed incontri

Pubblicato il 23 Febbraio 2013 alle 19:24 Autore: Giuseppe Colasanto

Spending Review

Sulla Spending Review il discorso è diverso dai precedenti. Innanzitutto, cos’è la “spending review”? detto semplicemente, è la revisione della spesa pubblica, l’analisi di come lo Stato utilizza i fondi derivanti dalle imposte e dall’indebitamento, per valutare se e quali sprechi vi si annidano e come evitarli. In molti paesi (tra tutti, il Regno Unito) se ne fa largo uso da decenni, in Italia è stata introdotta nel 2007 dall’allora ministro Padoa Schioppa ed abolita dal Governo Berlusconi (che l’ha sostituita con i tagli lineari del Ministro Tremonti), salvo poi essere recuperata con un emendamento presentato dal Sen. Morando (Pd)  nella manovra dell’agosto 2011.

[ad]Perché ne nasce un discorso diverso? Perché, banalmente, laddove si annidino sprechi, la responsabilità è da ricercare in chi governa o ha governato. Si tratta, quindi, molto spesso di un argomento usato da chi attacca tutti i partiti, e di un argomento su cui i partiti – pur non facendo quadrato, ed anzi difendendo ciascuno le proprie ragioni – sotto tutti o quasi sotto attacco. Alla luce poi della gravità delle misure presentate da Monti e controfirmate dal Parlamento, è anche più difficile per la classe politica argomentare sulla natura e sulla necessità di talune spese (come quelle relative al finanziamento elettorale).

Molti organi di stampa, da La Repubblica, al Fatto Quotidiano, hanno presentato articoli e dossier di denuncia di diversi sprechi ed inefficienze – dalla Sanità, agli enti locali, dalle partecipate, ai costi delle compensazioni per le opere pubbliche. I due massimi esperti in materia, gli editorialisti del Corriere Rizzo e Stella, in un articolo pubblicato a dicembre del 2011, elencavano diverse voci di spesa su cui il Parlamento avrebbe potuto  lavorare: sul rimborso elettorale, sulla trasparenza dei dirigenti e dei parlamentari, sui bilanci dei partiti, sulle dotazioni delle Camere e del Governo, sugli enti locali, su vitalizi e autoblu. Noi, per analizzare quanto fatto, definiremo due macro-categorie: i costi della politica e gli sprechi della pubblica amministrazione.

Quanto ai costi della politica, il Governo ha pochi margini di manovra, ma ha voluto lanciare un segnale sin dal suo primo mese di vita attraverso la misura riguardante le province, declassate a organismo di secondo livello e fortemente depotenziate, causando le ire dell’Upi (Unione delle Province) ma un sostanziale lasciapassare della politica nazionale, che ha emendato solo sulla chiusura immediata delle stesse. Ancora le province sono state protagoniste di un lungo lavoro di riorganizzazione, con la riduzione delle stesse a 51 (più le città metropolitane) attraverso un apposito decreto legge firmato il 31 ottobre scorso.

Quanto invece ai costi dei parlamentari, si è dovuto attenere all’indipendenza della Camera. Per cui, le misure adottate sono quelle decise degli uffici di presidenza della Camera e del Senato, come il taglio dei vitalizi (con passaggio al sistema contributivo e l’apertura di un fondo con parte dei risparmi ottenuti), la riduzione delle indennità di carica del 10% e il taglio dei benefit degli ex-Presidenti (con l’eccezione degli ultimi tre).  Sul finanziamento ai partiti, la polemica è invece montata dopo i casi Lusi (Margherita)  Belsito (Lega) e Fiorito (Pdl): soldi pubblici, molti, legittimamente assegnati alle casse dei partiti, ma utilizzati a fini personali dai tesorieri. In questo caso, gran parte della politica ha ceduto il passo al populismo:  Maroni ha affermato che la Lega avrebbe rinunciato all’ultima tranche dei rimborsi elettorali 2008, Alfano che avrebbe riformato il partito in modo da non dover più fare affidamento ai rimborsi; Bersani dal canto suo ha messo in guardia dai rischi che si corrono eliminando il finanziamento pubblico ed ha proposto un taglio del 50% sull’ultima rata ed una riforma del sistema che premiasse l’autofinanziamento. I partiti si sono poi effettivamente accordati su un taglio del 50% e sull’obbligo di revisione dei bilanci dei partiti, presentando un emendamento comune, votato però da un aula semivuota.

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L'autore: Giuseppe Colasanto