Il Governo Monti e la “strana maggioranza”: un anno di scontri ed incontri
Per quanto concerne, invece, gli stipendi dei parlamentari, la Commissione che avrebbe dovuto studiare la situazione europea ed uniformarvi la legislazione italiana, ha rinunciato al proprio compito, ritenuto irrealizzabile a causa della non uniformità delle voci di spesa presenti nel panorama europeo. Ciò fatto, però, ha reso noti i risultati parziali dell’indagine, causando reazioni contrastanti: chi, come Di Pietro, invocava l’urgenza di provvedere subito a tagliare gli stipendi, chi, nel Pdl, affermava che tali risultati provavano l’insussistenza dell’accusa di guadagnare troppo, e chi come Rotondi, ironizzava proponendo il mandato gratuito a titolo onorifico.
[ad]La spending review della pubblica amministrazione è stata oggetto di un’analisi meno mediatica, malgrado, come si diceva, alcuni dossier dei principali quotidiani. Il caso forse più pubblicizzato è stato quello relativo all’acquisto di nuovi velivoli militari, i famosi F35 che in futuro dovrebbero sostituire quelli attualmente in uso. Si è arrivati al compromesso di ridurne il numero, ma ribadendone l’utilità.
A fine aprile 2012 il ministro Giarda ha presentato al CdM il dossier definitivo, individuando su quali ministeri intervenire prioritariamente (difesa, interno, esteri, istruzione e giustizia, graziando quindi la sanità) e definendo una tipizzazione degli sprechi (organizzativi, produttivi ed economici). Si è altresì insediata una commissione di tecnici (Bondi, Giavazzi e Amato) che hanno avuto il compito di coadiuvare Giarda e Patroni Griffi nella definizione del piano d’azione.
Ma la Spending Review non è solo tagli ai privilegi, come vorrebbe una buona parte della pubblicistica in materia: rivedere la spesa può voler dire incidere pesantemente sui cittadini comuni, sui dipendenti pubblici, sugli ammalati, e così via. Nella seconda fase inaugurata con l’insediamento di Bondi, Giavazzi e Amato, si è infatti entrati maggiormente nel dettaglio dei tagli da fare, ed allora le proteste si sono fatte maggiormente sentire. La prima idea oggetto di contestazione politico-sociale è stata quella relativa all’inserimento di un “pacchetto pubblico impiego”, volto a ridurre appunto le spese del pubblico impiego in tre modi: taglio dei Dirigenti, mettendo in mobilità quelli con oltre 40 anni di servizio, taglio degli stipendi, per tutti i dipendenti, a cui veniva aggiunto un taglio ai buoni pasto, e taglio delle piante organiche degli enti pubblici, anche periferici, del 5% in media. Le maggiori preoccupazioni, come prevedibile sono arrivate dal Pd e dai sindacati, preoccupati anche dalle ripercussioni sul livello dei servizi associati al numero dei dipendenti. Altre preoccupazioni hanno riguardato invece i ministri o gli amministratori coinvolti: tra i primi, il ministro della Salute, preoccupato dal taglio sull’acquisto dei servizi intermedi (tra cui le Tac) e sulla riduzione dei posti letto in ospedale (tema però demandato alle regioni); tra i secondi, i Presidenti delle Province, tagliate di circa il 50%, sono stati per così dire “sacrificati” dalla politica, che ha accettato il piano di riorganizzazione dell’ente, cercando solo di allungare i tempi della riorganizzazione stessa, mentre sono stati ascoltati i Sindaci, scesi in piazza a fine luglio per protestare contro i tagli, a loro parere indiscriminati, minacciando di violare in massa il piano di stabilità (non per protesta, ma per necessità). In difesa di questi ultimi si sono schierati tanto Alfano quanto Bersani.
Pur marciando su un binario autonomo si può ricondurre alla spending review anche la revisione dell’organizzazione giudiziaria, che ha portato alla soppressione di numerosi “tribunalini” e sedi distaccate, provocando forti reazioni tanto dall’ordine degli avvocati, quanto dall’ANM, quanto dai rappresentanti dei territori “colpiti”. Il Ministro Severino si è però strenuamente difesa, affermando che con la riorganizzazione si otterranno risparmi ed efficienza, rivendicando la correttezza ed a-politicità dei criteri adottati.
Tra fine luglio e inizi di agosto Senato e Camera hanno approvato la Spending review facendola diventare legge: ulteriori modifiche sono state apportate sul tema della Sanità, stringendo i margini di manovra dei medici di base nella prescrizione di farmaci “di marca”. Degno di menzione il numero di deputati Pdl che hanno votato favorevolmente: 84, su oltre 200 membri del gruppo.
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