Le elezioni italiane del 2013

Domenica 24 e lunedì 25 febbraio 2013 in Italia si sono tenute le elezioni politiche da cui ha avuto inizio la XVII legislatura: questa tornata elettorale, in cui si recò alle urne il 75,19% degli aventi diritto, è passata alla storia per aver segnato la fine del cosiddetto “bipolarismo”.

Lo scioglimento anticipato delle Camere

Prima del voto, l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sciolse le Camere il 22 dicembre 2012: terminò così, circa 4 mesi prima della propria scadenza naturale, la XVI legislatura, in cui il governo tecnico di Mario Monti subentrò al governo Berlusconi III.

Le precedenti elezioni: Italia ’08

Tra il 13 ed il 14 aprile 2008 si recò alle urne l’80,63% degli italiani aventi diritto: ad imporsi fu la coalizione di centro-destra (Il Popolo della Libertà, Lega Nord e Movimento per l’Autonomia), che conquistò il 46,81% dei voti alla Camera e il 47,32% al Senato. L’8 maggio ebbe dunque inizio il quarto mandato da Presidente del Consiglio di Silvio Berlusconi, terminato il 16 novembre 2011 in seguito alle sue dimissioni causate prevalentemente dalla disperata situazione economica italiana nel contesto della cosiddetta “grande recessione”.

Il sistema elettorale 

Il sistema elettorale adottato per regolare le elezioni politiche del 2013 fu il cosiddetto “Porcellum”, ovvero la legge elettorale a prima firma Calderoli (Lega Nord). Il suddetto sistema vede combinati elementi proporzionali, in particolare il metodo dei resti più alti, con altri di natura maggioritaria.

Con questo sistema, grazie al premio di maggioranza alla Camera la coalizione più votata ottiene il 55% dei seggi; stessa percentuale al Senato, dove il premio è invece attribuito su base regionale. Considerata la non omogenea distribuzione dei consensi di ciascuna lista o partito sull’intero territorio italiano, l’attribuzione regionale del premio espone quindi il sistema al rischio di non permettere la formazione di una maggioranza nazionale. Come vedremo, tale aspetto si rivelerà decisivo per l’esito di queste elezioni.

Sono inoltre presenti clausole di sbarramento che permettono di accedere alla ripartizione dei seggi soltanto alle liste capaci di superare una certa soglia: alla Camera, il 2% per le liste appartenenti ad una coalizione che raggiunge almeno il 10% dei consensi e il 4% per le altre liste; al Senato, invece, il 3% per le liste facenti parte di una coalizione con almeno il 20% dei voti e l’8% per tutte le altre liste.

Questo sistema, non più in vigore in Italia, non consente agli elettori di scegliere il singolo candidato per cui votare: attraverso il metodo delle liste bloccate, la preferenza viene infatti espressa esclusivamente in favore dei partiti; i candidati vengono quindi eletti in base al numero di seggi conquistati dal proprio partito ed all’ordine di presentazione dei candidati in lista da parte dello stesso.

 

I partiti candidati e le loro posizioni in campagna elettorale

Di seguito le coalizioni e i singoli partiti scesi in campo in questa tornata elettorale:

In campagna elettorale il centro-sinistra si schierò apertamente contro i partiti di centro-destra, ritenuti i veri colpevoli della crisi economica che aveva colpito l’Italia negli anni precedenti; il centro-destra, a sua volta, criticò duramente le scelte del governo Monti, in particolar modo quelle sui temi economici quali, ad esempio, la riforma delle pensioni Fornero. 

La coalizione centrista di Monti e il Movimento 5 Stelle tentarono, invece, seppur con due approcci decisamente diversi tra loro, di affermarsi come alternativi agli storici schieramenti succedutisi ripetutamente alla guida dell’Italia dal 1994 al 2011, appunto il centro-sinistra e il centro-destra: se da un lato, infatti, la campagna elettorale di Mario Monti fu incentrata sul garantire continuità alla sua esperienza di governo e sul rafforzare il rapporto dell’Italia con l’Unione Europea, dall’altro il M5S si propose invece come partito assolutamente anti-establishment. 

In particolare, la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle si rivelò, nel bene e nel male, totalmente innovativa: le proposte messe in campo dai “grillini” riguardavano l’abolizione totale del finanziamento pubblico ai partiti, l’abbattimento delle tasse e il distacco dell’Italia dalle istituzioni politiche e monetarie europee; inoltre, l’elemento comunicativo che contraddistinse questa campagna fu la scelta dei membri del Movimento di non prendere parte ai tradizionali confronti televisivi con gli altri esponenti politici, rifiutandosi anche di farsi intervistare dai media italiani e rilasciando dichiarazioni esclusivamente alla stampa estera o durante le manifestazioni in piazza divenute note come “Tsunami tour”.

L’esito del voto alla Camera

La maggioranza dei 630 seggi disponibili alla Camera dei Deputati fu conquistata dal centro-sinistra, che ne ottenne 345 grazie al successo di misura (29,5%) sul centro-destra (29,1%), il quale dovette “accontentarsi” di 125 seggi; la coalizione guidata da Mario Monti, invece, si fermò al 10,5%, conquistando 47 seggi.

Tra i singoli partiti, il più votato fu il Movimento 5 Stelle (25,5%), che grazie ad un risicato successo sul PD (25,4%) ed uno leggermente più marcato sul PdL (21,6%), ottenne 109 seggi; Scelta Civica con Monti, invece, non arrivò nemmeno al 10%, fermandosi all’8,3%.

L’esito del voto al Senato

Al Senato, invece, nessuna delle forze politiche in gioco riuscì a conquistare la maggioranza di 158 seggi su 315 necessaria per governare: il centro-sinistra, con il 31,6%, si fermò a 123 seggi; il centro-destra arrivò ad eleggere 117 candidati grazie al 30,7% dei voti mentre il M5S con il 23,8% conquistò 54 seggi. Anche in questo caso, la coalizione di Mario Monti non andò oltre la quarta piazza, ottenendo il 9,1% dei voti ed appena 19 seggi.

A differenza della Camera, in cui come abbiamo visto si impose il Movimento 5 Stelle, al Senato fu il PD il singolo partito più votato. Nonostante questo, a causa della mancata conquista della maggioranza in entrambe le Camere, per il centro-sinistra si trattò di una vittoria “mutilata”.

 

Conseguenze del voto

Dopo il voto, ci vollero circa due mesi per risolvere lo stallo causato dall’assenza di una maggioranza stabile in Parlamento: il tentativo iniziale di Pier Luigi Bersani di trovare una soluzione politica condivisa si scontrò infatti con l’ostruzionismo del Movimento 5 Stelle, il quale attraverso i propri rappresentanti Vito Crimi e Roberta Lombardi respinse l’offerta del segretario del PD durante una consultazione in streaming, un episodio rimasto ben impresso nella storia recente della politica nostrana.

Finalmente, il 28 aprile 2013 l’Italia ebbe un nuovo governo: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riuscì a mettere in piedi una “grande coalizione”, guidata dal Partito Democratico e composta inoltre da Scelta Civica, UdC e Nuovo Centro Destra (quest’ultimo partito nacque, nel dicembre di quell’anno, per subentrare insieme ai Popolari per l’Italia al Grande Sud e al PdL, i quali fecero parte di questa maggioranza fino al mese di novembre); tale coalizione potè contare anche sulll’appoggio esterno di diverse altre formazioni minori tra cui il PSI, il Centro Democratico e alcuni movimenti in rappresentanza di Trentino Alto-Adige, Valle d’Aosta e degli italiani all’estero.

La “grande coalizione” e l’affermazione del Movimento 5 Stelle come terzo polo segnarono dunque la fine del “bipolarismo” italiano: il ruolo di Presidente del Consiglio fu affidato al vice segretario del PD Enrico Letta, a cui successero prima Matteo Renzi (PD) nel 2014 e poi Paolo Gentiloni (PD) nel 2016.