Ci hanno seguito anche da lassù. Il Nord Europa ha dedicato ampio spazio alle elezioni politiche italiane. E martedì scorso, i quotidiani proponevano quasi sempre lo stesso concetto: caos. Per dirla col norvegese Dagbladet, le nostre sono state ‘Elezioni thriller’. In molti hanno scritto che lo spettro di un nuovo voto è dietro l’angolo: dal norvegese Aftenposten allo svedese Svenska Dagbladet, dall’islandese Morgunblaðið al danese Berlingske Tidende. Insomma anche la Scandinavia ci guarda e lo fa con preoccupazione. Difficile pensare che tanta attenzione verrà ricambiata nei prossimi tre anni, quando in Nord Europa verranno rinnovati tutti e cinque i parlamenti. Comincia l’Islanda il 27 aprile. Urne aperte in Norvegia il 9 settembre. Nel settembre invece 2014 si vota in Svezia. Nel 2015 tocca a Finlandia e Danimarca.
[ad]Tra un paio di mesi l’Islanda va al voto, dunque. In molti in queste settimane hanno voluto cercare assonanze politiche tra la situazione italiana e quella islandese – nonostante le profondissime differenze culturali, economiche, sociali e geografiche. Qualche parallelismo comunque si può fare. Beppe Grillo, ad esempio, è stato paragonato a Jón Gnarr, attuale sindaco di Reykjavík, che dopo una vita passata a fare spettacolo ha fondato un partito (nome: il Miglior Partito) che ha drenato tutta la rabbia nei confronti dei ‘poteri forti’ e dei partiti tradizionali, ritenuti colpevoli del disastro finanziario in cui è precipitata l’isola negli anni scorsi. A sorpresa, nel 2010 il Miglior Partito ha conquistato la capitale arruolando gente comune e ricorrendo massicciamente ai social network. Ma dobbiamo fermarci qui. Nessun terremoto sta per stravolgere lo scenario islandese. Tra i tanti nuovi partiti spuntati negli ultimi anni, infatti, ce ne è uno solo che potrà dire la sua a fine aprile: si tratta di Futuro Radioso, nato un anno fa e all’interno del quale c’è anche il Miglior Partito. Secondo gli ultimi sondaggi, Futuro Radioso è al 15,3%, due punti e mezzo più dei socialdemocratici attualmente al governo. Altre forze però sono davanti. Nettamente. E a fine aprile dalle urne uscirà quasi certamente una maggioranza conservatrice, riportando almeno in parte la politica islandese su binari di normalità.
I conservatori paiono destinati a vincere anche in Norvegia. I sondaggi lo ripetono da mesi. La partita è tra il blocco di centrodestra e il blocco di centrosinistra che attualmente governa il paese. Eppure in questi giorni lo scontro più duro è andato in scena nel recinto dei conservatori. Il Partito del Progresso ha accusato la Destra di aver elaborato un programma a metà strada tra quanto proposto proprio dal Partito del Progresso e quanto suggerito dai laburisti. Un affondo che si può tradurre così: scegliete da che parte stare. Che succede? Succede che il Partito del Progresso (seconda forza conservatrice del paese) sta provando a sottolineare le differenze, con l’obiettivo neanche tanto nascosto di conquistare quanti più elettori possibile. Una strategia che molti analisti politici avevano previsto con largo anticipo. I prossimi mesi saranno ancor più intensi sotto questo profilo.
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Problemi simili ce li ha il governo di centrodestra che guida la Svezia e che nel 2014 chiederà ai cittadini il terzo mandato consecutivo. Per farlo, l’Alleanza per la Svezia (la coalizione che mette insieme Moderati, Partito di Centro, Cristiano Democratici e Partito Popolare Liberale) ha annunciato una nuova piattaforma programmatica. Ma prima di tutto va messo ordine nei rapporti di forza. I tre partiti minori continuano infatti a chiedere più spazio, convinti che occorra far capire agli elettori che l’Alleanza è una coalizione di quattro protagonisti e non un soggetto unico. Cosa complicata, stando ai numeri: da soli i Moderati pesano circa il 30%, gli altri tre messi insieme non arrivano al 15.
[ad]Che gli equilibri nelle coalizioni siano materia delicata ce lo ricorda anche la Danimarca. A inizio settimana, il governo di centrosinistra ha presentato il suo piano per far ripartire l’economia: sgravi fiscali alle imprese e investimenti pubblici verranno finanziati tra l’altro con dei tagli ai sussidi di disoccupazione e al sostegno all’istruzione. Come detto da Margrethe Vestager, ministro dell’Economia e leader della Sinistra Radicale, il messaggio per le aziende è chiaro: non arriveranno nuove tasse. Proprio quello che avevano chiesto qualche settimana i Liberali. E infatti il piano è piaciuto ai conservatori. Ma solo a loro. Per il resto, infatti, critiche ferocissime. Contrari i sindacati. Contraria l’Alleanza Rosso-Verde che sta sì fuori dal governo ma che al governo spesso ha dato un sostegno decisivo. Contrari alcuni parlamentari del partito socialdemocratico, che il governo lo guida. Contrari soprattutto molti membri del Partito Popolare Socialista, che dell’esecutivo fa parte. Le reazioni più dure arrivano proprio da qui e potrebbero portare a crisi vera e propria. Alcuni esponenti hanno ufficialmente chiesto al partito di uscire dal governo: a queste condizioni è impossibile restare, dicono. La richiesta è stata inviata alla leader Annette Vilhelmsen, peraltro assente durante la conferenza stampa convocata per illustrare il pacchetto crescita. Insomma una tempesta. E a buttare benzina sul fuoco arrivano i sondaggi: il partito socialdemocratico è ai minimi storici e scende al 17,2% superato addirittura dal Partito Popolare Danese, forza di ultradestra, che si piazza al 17,4%. Thomas Larsen, commentatore del Berlingske Tidende, ha parlato di una situazione pericolosa e imprevedibile. Staremo a vedere. Quel che è certo è che sul governo si addensano nuvole nerissime.