Grosse Koalition Pd-Pdl di legislatura con Renzi
Ci sono due modi certi per consegnare il paese a Beppe Grillo: andare ad elezioni anticipate subito dopo aver eletto il nuovo presidente della Repubblica oppure legittimarlo, dando al Movimento 5 Stelle le chiavi della legislatura. Per essere sicuro di avere il 100% di possibilità di riuscita, Bersani sta pensando bene di battere entrambe le strade.
Prima apre al comico genovese, che ai tempi delle primarie – non esattamente un’era geologica fa – definì “fascista del web” poi attraverso il suo responsabile economico Stefano Fassina gli fa sapere che se non dovesse dire di sì al voto di fiducia al governo di minoranza di Bersani, sarà Grillo a dover indicare un’altra soluzione. Da economista se la cava Fassina da provetto costituzionalista va peggio, il leader genovese sarà un capo-popolo un capo-partito ma non (ancora) il Capo dello Stato. Le consultazioni – invece – sono ancora una prerogativa del presidente della repubblica in carica. E lì si comporranno gli equilibri parlamentari per dare un senso a questa legislatura che non sia solo affidarsi all’eventualità che San Beppe si immoli nell’operazione “Salvate il soldato Bersani” e scongiurare elezioni in pochi mesi. Va detto con grande realismo: con l’ostinazione a dare un mandato esplorativo al segretario del Pd e con un suo logico naufragio in aula si chiuderebbero le porte della legislatura a fine aprile. Fatto che autorizzerebbe milioni di nuovi elettori a prendere in considerazione il voto al Movimento 5 Stelle, per delle potenzialità impossibili da cogliere a questo giro: la possibilità di battere le coalizioni Pd-Sel e Pdl-Lega.
Come uscirne? Con l’unica alleanza fra forze sensate presenti in Parlamento: Pd e Pdl in formato Grosse Koalition. Non per campare qualche mese e fare (solo) la riforma delle legge elettorale, bensì per dimezzare il numero dei parlamentari, modificare la forma di governo (con la procedura aggravata ed i tempi di modifica richiesti dall’articolo 138 della Costituzione) e avere l’ambizione di rifondare il sistema sociale del paese e restare nell’euro. “Ci vorrà del tempo, forse non basterebbe un’intera legislatura” obietterebbe uno sveglio, facendo centro. Non basterebbero 5 anni, figuriamoci 6 mesi o due anni. L’alleanza dei sensati, pertanto, prima che venga messa alle strette da una nuova emergenza spread (in Europa stiamo già tornando ad essere additati a modello patologico di instabilità), dovrebbe avere un orizzonte: il governo di legislatura. Servirebbe banalmente per avere i tempi tecnici per riscrivere la seconda parte della Costituzione, sarebbe vitale per fare metabolizzare l’austerity e le vitamine per la crescita fatte da una riqualificazione del Welfare State. Il modello da emulare è l’alleanza Cdu-Spd de 2005-2009: partendo da scuole economiche di pensiero differenti hanno saputo condividere il peso e gli onori di un alleggerimento della spesa pubblica e un aggiornamento dello Stato sociale renano per tornare nelle successive elezioni a contendersi la maggioranza al Bundestag.
Con 5 anni a disposizione e un programma realizzato a tambur battente Pd e Pdl potrebbero fare meglio, prosciugando il bacino di consensi del Movimento 5 Stelle e ricostruire un bipolarismo sullo schema popolari/socialisti europei. Per farlo però è chiesto a loro di sbarazzarsi un mito costruito con poco senno e poco logos nella scorsa legislatura: Il governo di Grosse Koalition deve essere in Italia interamente di tecnici, altrimenti scoppierebbe l’antipolitica. L’esperienza di Monti ha insegnato esattamente l’opposto. Non si sono fatti i tagli a Province e costi della politica, vero. Ma in questo periodo la causa grillina si è alimentata con una conclamata sospensione della politica, dei concetti di destra e di sinistra con l’avallo proprio del maggior partito progressista e del maggior partito dei moderati. Non ha dovuto impiegare troppa fatica in queste circostanze a diffondersi il frame “Pdl-Pdmenoelle”, destra e sinistra hanno rinunciato per intero a fare il loro mestiere.
Per quanto di nicchia la controversia attorno al montismo e alle tesi del politologo statunitense Gardels sulla democrazia dei tecnici da spogliare di colore politico è stata la spiegazione ideologica della rinuncia di Pd e Pdl a fare da destra e da sinistra dal novembre del 2011. Mutatis mutandis, un governo con ministri e sottosegretari democrat e pidiellini, darebbe una chance di ricostruire anche un senso di culture di mercato e di uguaglianza sociale affogate dal pensiero unico di Monti. Ad essere molto schietti l’unico leader politico investibile di un accordo bipartisan e di un carisma decisionista sarebbe il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Resterebbe non di meno una mission impossible, specie se i due maggiori tappi (Bersani, uscito personalmente sconfitto dalle elezioni e Berlusconi, impresentabile in sede internazionale) dovessero avere ancora un ruolo di leadership. Ma si vedono le prime fiduciose crepe: nel Pd, D’Alema apre alla presidenza del Senato per un Pdl, mentre il braccio destro di Franceschini, Antonello Giacomelli sull’Unità porta al punto massimo di provocazione l’idea di Bersani di fare un’alleanza con Grillo (“diamogli l’incarico di formare il governo”) e spinge invece per un dialogo con le altre forze (ovvero il Pdl). Nel Pdl l’ex premier resta il dominus, benché con l’odierno avviso di garanzia per corruzione di parlamentari sia ricominciata la via Crucis giudiziaria.