[ad]Il Partito Democratico in queste giornate post elettorali vive un clima teso, per usare un eufemismo. Quella che era da mesi una vittoria annunciata si è trasformata in una débâcle dolorosa. In pochi mesi, da fine novembre a fine febbraio, si è passati dal 36% del consenso attribuito al PD da tutti i sondaggi nella fase delle primarie per la leadership, al 25% di voti ottenuti nella realtà. Un risultato sconfortante. Si stanno sprecando (in senso buono e meno buono) fiumi di parole per cercare di interpretare le ragioni che hanno portato a questa situazione.
Credo sarebbe ora interessante capire quali sono le possibilità di riprendere la rotta (per seguire, solo per questa volta, la metafora di Bersani “posso essere capitano o mozzo”). Innanzitutto credo sia necessario un bagno di umiltà. Da parte di tutti. Perché diciamolo, in molti sentivano che l’aria che tirava non era più tanto a favore ma nessuno, credo, aveva immaginato un risultato così penalizzante per la proposta politica del centrosinistra. Eppure è successo. E’ evidente che il progetto proposto da Bersani ai cittadini elettori non è piaciuto. Colpa loro, degli elettori cattivi e beceri che “non ci capiscono”? (si veda a questo proposito quanto scrive Pietro Raffa)
No. Forse il Partito Democratico ha proposto un progetto conservativo, generico, fumoso “un po’ di…”, difficile riuscisse a essere attraente. Un progetto così poco strutturato diventa poi complicato da trasmettere. E così, durante la campagna elettorale, Bersani si è trovato “costretto” a ricorrere al solito vecchio trucco, “l’appartenenza”. “Noi” siamo dalla parte giusta, gli “altri” no. Peccato che tra gli “altri” ci fossero anche quei cittadini elettori che sarebbe stato necessario convincere.
Chi ha fatto campagna elettorale sa bene com’è andata. Riuscendo a fatica a tenere gli “elettori di sempre”, quasi mai a spostare qualche incerto, indeciso, confuso. Non c’erano argomenti propositivi, solo oppositivi. E di questi tempi, non avere in mano un progetto serio e concreto per il futuro, poche e chiare parole d’ordine che possano aprire una prospettiva positiva, fa la differenza. E la differenza c’è stata e si è vista. Cosa può succedere adesso? Quali possono essere le vie di uscita per ricominciare?
In un momento così non servono i piccoli aggiustamenti, la normale manutenzione, serve coraggio e audacia.
Quella che fin qui è mancata a larga parte del PD e, soprattutto, a larga parte degli elettori del PD, quel “popolo delle primarie” che ha scelto, con poco entusiasmo, “l’usato sicuro” senza neanche prendere in considerazione l’altra opzione, catalogata con fastidio come “spuria” per essere gentili. Una mancanza totale di visione. Eppure basterebbe usare un po’ di buonsenso, quello che la maggioranza di noi conosce e pratica nella vita professionale lavorativa.
Per essere competitivi e vincenti si cerca di utilizzare al meglio le proprie risorse. Si ragiona per qualità, competenze, capacità. Nell’idea che i talenti siano una risorsa preziosa, non qualcosa da allontanare o peggio demonizzare, perché mette in discussione la nostra “posizione acquisita”.
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[ad]Ecco, il momento è arrivato per provare ad applicare questi criteri anche nello specifico della politica, in particolare del Partito Democratico. Per usare una metafora sportiva (non di calcio pero) è arrivato il momento di far scendere in campo il quintetto base migliore. Nel PD e intorno al PD c’è solo l’imbarazzo della scelta se si vuole mettere in campo un team vincente. Con un coach all’altezza del livello della competizione. E’ sufficiente applicare a sé stessi quello che si predica, spesso con grande supponenza, agli altri: privilegiare merito, competenza, capacità. E abbandonare una volta per tutte la logica, deleteria, della “fedeltà” a questo o a quel “capo bastone”, il “giovane” che fa carriera non “per quello che conosce ma per chi conosce” (questa è una citazione al contrario di una delle frasi più efficaci di Matteo Renzi).
Se il PD, i suoi dirigenti in primis ma anche i suoi iscritti (sempre di meno purtroppo) sapranno guardarsi con umiltà – abbandonando la spocchia fastidiosa che li ha caratterizzati fin qui, riconoscendo gli errori ma con la consapevolezza di avere comunque un patrimonio straordinario e unico – bè, allora forse sarà la volta buona che si riuscirà a fare davvero “qualcosa per l’Italia”.
Postilla. Comunque la si guardi la competizione politica, interna ed esterna, è ancora tutta al maschile. Molto muscolare, sempre a vedere “chi ce l’ha più lungo”. Sarebbe auspicabile andare oltre “abbiamo il 40% di donne in Parlamento” (per carità, indiscutibilmente un ottimo risultato) che rischia di lasciare il tempo che trova, e cominciare a far entrare in gioco per davvero la sensibilità, l’ingegno, la capacità di mediazione propria delle donne. Sempre tenendo a mente che anche per loro vale la “selezione” di merito di cui si è detto sopra.