[ad]Parlare di economia subito dopo il risultato elettorale di lunedì non è semplice, soprattutto perché il quadro nazionale, non dobbiamo mai dimenticarlo, va inserito in un tessuto europeo e globale. Di certo l’Italia è al centro dell’attenzione dei mercati, delle agenzie di rating e delle diplomazie mondiali, un po’ perché il risultato sottolinea maggiormente la natura di una protesta contro la politica di austerity filotedesca, sia perché a farlo, stavolta non è un Paese piccolo con un PIL pari a quello di una provincia italiana, ma la terza potenza economica europea, secondo esportatore e secondo per attività manifatturiera.
Senza dover necessariamente posizionare gli occhi dietro la testa, possiamo provare a vedere con sguardo geopolitico la struttura dell’attuale crisi per cercare di dipanare dubbi e perplessità che potrebbero sorgere tra le persone comuni non necessariamente formate e informate.
Il primo parallelismo vale con la crisi del Novembre 2011, quando il Governo Berlusconi IV si dimise. A quel tempo lo spread, il tanto vituperato differenziale di rendimento tra il BTp decennale e il corrispondente tedesco, stava sfiorando quota 600, l’incertezza politica derivante dalla consultazione elettorale ha fatto fare un balzo da 280 a 330 aumentando la spesa per gli interessi su base annua di circa 3 miliardi di euro, ma i livelli sono ben più bassi e sostenibili dai conti dello Stato che sono letteralmente blindati e paradossalmente l’Italia potrebbe passare l’intero 2013 senza la necessità di avere un Governo in carica che legiferi sul Documento di Programmazione Economica e Finanziaria.
Un altro paragone arriva pensando alla situazione greca dello scorso anno dove, dopo una prima consultazione elettorale non aveva portato a nessuna coalizione di governo, il Presidente della Repubblica greca Papoulias aveva nominato ad interim Panagiotis Pikrammenos per poi indire nuove elezioni dalle quali uscì il Governo di Antonis Samaras del partito di destra Nea Dimokratia. Alcuni osservatori dalla vista molto corta hanno considerato questa similitudine come motivo di preoccupazione. Nota alle cronache l’infelice affermazione di Schäuble che manifestava paura per un eventuale “contagio”, certamente poteva essere valida qualora l’origine di tale “malattia” fosse stata finanziaria, ma bisognerebbe capire se l’esponente tedesco si riferiva all’assetto politico o a paure derivanti da una svalutazione del valore dei titoli italiani; motivazioni in ogni caso estremamente delicate e probabilmente da evitare in una giornata in cui i mercati finanziari erano sensibili a qualsiasi notizia o opinione.
Ma il paragone più ardito che può risultare dall’esito elettorale italiano è quello con la cosidetta Rivoluzione Islandese, nata dalle macerie di una nazione dilaniata dalla crisi dei mutui sub prime, che ha visto la nazionalizzazione della banche e la riscrittura della Costituzione attraverso i social network. Nel giro di pochi anni, il popolo islandese ha perpetrato un vero colpo di Stato riuscendo a far dimettere il Governo e a nazionalizzare le principali banche commerciali del Paese. I cittadini hanno deciso all’unanimità di far dichiarare l’insolvenza del debito pubblico, che le banche avevano sottoscritto con Gran Bretagna e Olanda, consce della instabilità governativa del Paese, e hanno proposto la riscrittura della Costituzione, al cui scopo è stata istituita una commissione popolare.
Il tutto si è svolto pacificamente, grazie alla presa di posizione del popolo, che ha instaurato una rivoluzione contro quel Governo che aveva condotto il Paese al collasso economico. Ma l’Islanda è un paese con 319 mila abitanti, più o meno quelli di una città italiana, il debito ammontava a circa 3,5 miliardi di euro pari a un’emissione di piccole dimensioni di Titoli di Stato Italiani. Il Governo di Jóhanna Sigurðardóttir ha ottenuto la riscrittura delle regole anche tramite social network come Facebook e Twitter, ma una società con una potente componente luterana ha una certa forma di autodisciplina e il numero degli abitanti permette certamente la gestione di tali forme di collaborazione.
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[ad]L’arrivo di un soggetto politico come il Movimento Cinque Stelle che utilizza la rete come mezzo di comunicazione e condivisione sembra essere una vera e propria rivoluzione attuata dal basso, dalla cosiddetta società civile e il paragone con la situazione islandese sembra quasi obbligata. L’avvento della rete come mezzo di confronto politico è possibile in una Nazione di 60 milioni di abitanti? Gli italiani sapranno utilizzare le tecnologie che oggi impiegano solo ed esclusivamente per fini ludici per scopi civici?
Alcuni giorni fa Citigroup ha affermato che la situazione di stallo politico italiano potrebbe nel medio termine abbassare il rating di 5 notch (si tratta dell’unità di misura di variazione del rating NdR) ovvero dall’attuale BBB+ a BB-, definendo di fatto le emissioni italiane come “junk”, spazzatura. Interessante che tale affermazione arrivi da un istituto tra i più foraggiati dal piano di 700 miliardi di dollari di salvataggio ottenuti da Bush Jr a fine mandato.
Interessante anche notare che il sistema politico italiano spesso e volentieri non sia conosciuto all’estero: nessuno nomina il fatto che attualmente il Governo Monti è in carica anche se solo per gli affari correnti e finché non verrà nominato un nuovo esecutivo attraverso la fiducia delle due Camere rimarrà in carica. Ingovernabilità sta a significare una difficoltà oggettiva a trovare una nuova maggioranza, ma non che non esista un Governo, su questo fraintendimento è nata una serie di speculazioni finanziarie che a lungo termine potrebbe certamente deteriorare il debito pubblico, ma sulla base di aspettative e manovre come le vendite allo scoperto che puntualmente sono state bloccate dalla CONSOB.
Le paure di Schäuble potrebbero realizzarsi qualora la finanza, ormai chiaramente diventata attore nelle vicende politiche, decidesse di prendere d’assalto l’Italia per generare reddito attraverso la speculazione. Quale via allora per l’Italia? La strada greca o quella islandese? È verosimile piuttosto pensare a un’ipotesi di “via italiana”, un modo tutto nostro e originale di uscire da questo stato melmoso forse addirittura sorprendendo, modalità alla quale, citando Massimo Gramellini, siamo abituati da millenni. Il dibattito politico attuale diventa quindi fondamentale per stabilire il futuro dell’Italia nel breve termine e incidentalmente anche il trend di lungo periodo.
di Ivan Peotta