Invidia su Facebook: risultati di uno studio tedesco
Che ci sia un legame tra l’utilizzo di Facebook e i sentimenti di invidia è un’intuizione fin troppo ovvia. Ma quali sono esattamente le dinamiche che si innescano nella fruizione del popolare social network fondato da Mark Zuckerberg?
[ad]Due studi, condotti da Peter Buxmann dell’Università di Darmstadt e Hanna Krasnova dell’Università Humboldt e presentati ufficialmente a Lipsia lo scorso 27 febbraio in occasione della undicesima Conferenza internazionale Wirtschaftsinformatik, individuano su base empirica questi meccanismi.
Se non avete voglia di consultare il testo integrale, che si può scaricare in lingua inglese al link http://www.wi2013.de/proceedings/WI2013%20-%20Track%2011%20-%20Krasnova.pdf, ma siete comunque curiosi di scoprire qualcosa di più in merito, trovate qui di seguito sintetizzati i risultati.
L’indagine è stata svolta reclutando un campione di individui attraverso una mailing list universitaria che metteva in palio l’estrazione di alcuni buoni su Amazon in cambio della partecipazione ad un breve questionario on line sulle Emozioni degli utenti di Facebook. Definite genericamente “emozioni”, senza alcun esplicito riferimento all’invidia, onde evitare di viziare i risultati della ricerca. Che cosa è emerso?
Comprendere un comportamento quando si è direttamente coinvolti, si sa, non è un compito facile. Si rischia di essere poco obiettivi. Tanto più se si parla di un comportamento deprecabile come l’invidia. Considerata un sentimento poco nobile, si fatica ad ammettere di provarla. Diventa una parola tabù. E’ socialmente più accettabile parlare di “rabbia”, “stanchezza”, “frustrazione” e “irritazione” generati dall’uso di Facebook piuttosto che di invidia. Ma se il comportamento viene attribuito agli altri, non esistono più mezzi termini. Proiettando sull’altro i propri sentimenti, si riesce ad affermare ciò che altrimenti si nega: Facebook offre un terreno fertile per i sentimenti di invidia.
Quali sono le maggiori cause dell’invidia on line? Lo studio rivela che ciò che innesca maggiormente questo sentimento sono i riferimenti degli utenti a viaggi e tempo libero, seguiti dalle opportunità di interazioni sociali e dalla felicità in generale. Condividere le fotografie dei propri viaggi è diventata una usanza comune e non viene percepita come una volontà di auto-promozione, al contrario della pubblicazione di contenuti relativi al possesso di oggetti costosi. In altre parole: se pubblico le foto della mia Porsche nuova di zecca rischio di essere accusato di ostentazione più che nel caso in cui pubblichi le foto del mio ultimo viaggio alle Seychelles, mentre sono steso all’ombra di una palma e sorseggio un drink. Questo quanto emerge dal primo studio.
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