[ad]I dati sulla disoccupazione sono “agghiaccianti”. Così il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha definito gli ultimi dati relativi alla disoccupazione in Italia, rilasciati a marzo dall’Istat. E non gli si può dare torto. Andando ad analizzare nel dettaglio i numeri, la situazione della nostra economia fa tremare i polsi: disoccupazione della popolazione attiva all’11,7%, disoccupazione giovanile addirittura al 38,7%, ormai totalmente fuori controllo. La crisi, dunque, morde. E non accenna a mollare la presa.
Inoltre, sembra che il vizio di fondo che l’Italia moderna si porta dietro fin dalla sua nascita, ossia il fatto di essere un Paese con un’economia “duale”, non sia affatto scemato con l’avvento della recessione, ma, se possibile, addirittura accentuato. Sotto questo profilo, i dati Istat sono impietosi: nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione arriva quasi al 18%, con picchi del 20,6% in Calabria e del 19,6% in Sicilia.
La situazione al Nord è migliore: la palma d’oro va al Trentino Alto Adige, con appena il 6% di disoccupati. Bene anche il Veneto e l’Emilia Romagna, con, rispettivamente, il 7% e il 7,5% di popolazione attiva inoccupata. Nel complesso, quindi, nel Settentrione e anche nel Centro (dato medio di disoccupazione al 10,5%) l’economia, pur con mille difficoltà, sembra tenere. Con una battuta, si potrebbe dire che l’Italia ha dentro di sé, economicamente parlando, il peggio e il meglio dell’Ue: “quasi Germania” il Nord, “quasi Grecia” il Sud. Volendo fare un’analisi quanto la recessione ha colpito il nostro Paese, è doveroso partire da lontano, focalizzandosi sul 2007, ossia l’ultimo anno prima dell’esplosione della grande crisi dei mutui subprime americani (datata 2008) che ha poi avuto ripercussioni che tuttora, e chissà per quanto tempo, l’Occidente paga.
Le differenze a 6 anni di distanza sono, oggettivamente, impressionanti. In quell’anno, infatti, la disoccupazione su media nazionale si attestava intorno al 6,2%, con quella giovanile al 23,2%. Sono dati significativi, che sgomentano e che testimoniano, più di tante chiacchiere, la profondità e la gravità che la crisi economica ha causato al nostro tessuto connettivo, al nostro sistema produttivo, alla nostra stessa identità di Paese industriale.
Soluzioni facili e a breve termine non se ne vedono: a meno che non ci sia un’inversione di marcia di politica economica a Bruxelles, con le istituzioni comunitarie che, almeno momentaneamente, accantonino l’austerity per passare a politiche improntate alla crescita e allo sviluppo. Purtroppo il trattato sul fiscal compact del 2012 (sostanzialmente far sì che tutti i paesi della Ue raggiungano il pareggio di bilancio entro i prossimi 2-3 anni) e il vertice europeo dello scorso 8 febbraio non lasciano spazio a scenari troppo ottimistici.
Dentro il problema dell’Europa, c’è il problema dell’Italia: la totale incertezza politica conseguita alle elezioni della scorsa settimana non può che aggravare la nostra già precaria situazione. Sarebbe auspicabile che le varie forze politiche (soprattutto quelle che si fanno portatrici di cambiamenti radicali) si chiarissero le idee il prima possibile. Meglio infatti tornare alle elezioni entro pochi mesi piuttosto che galleggiare nella crisi, politica o economica che sia.
A proposito di crisi e disoccupazione in aumento: il gruppo Bridgestone ha annunciato la chiusura programma dello stabilimento di Bari nel giro di un anno. Sconcerto tra i 950 dipendenti dello stabilimento che oggi hanno fatto sentire la loro voce protestando davanti ai cancelli dell’azienda.
Alessandro Genovesi