Hugo Chàvez “ultimo caudillo” salutato dal Venezuela

Pubblicato il 6 Marzo 2013 alle 20:10 Autore: Redazione

[ad]La figura di Hugo Chàvez. come molti dittatori sudamericani, è controversa e attira su di sé considerazioni fortemente contrastanti: una buona fetta di venezuelani, quasi la metà, lo ha sempre odiato, mentre la maggioranza dei connazionali lo ha trasformato in un eroe popolare, un vendicatore pronto a combattere il grande capitale e gli Stati Uniti per difendere la sua nazione.

Nacque nel 1954 a Sabaneta, una piccola città del sud-ovest venezuelano, da una famiglia di umili origini. Durante gli anni dell’Università, in cui si iscrisse per studiare Scienze politiche, Chávez sviluppò una dottrina nazionalista di sinistra, cosiddetta “bolivariana”, ispirata dal pensiero del rivoluzionario venezuelano dell’Ottocento Simon Bolivar detto il “libertador”.

Lasciata l’Università senza aver completato gli studi, entrò nelle forze armate, dove, nel 1991, divenne colonnello. L’anno successivo si verificò il primo avvenimento fondamentale della sua vita: guidò di un colpo di stato contro il presidente Carlos Andrè Perez. Il golpe fallì e Chàvez venne arrestato, ma le sue gesta lo resero popolarissimo nei quartieri più poveri di Caracas, in quanto, tre anni prima, il presidente Perez aveva soffocato nel sangue una rivolta popolare contro le misure anticrisi imposte dal Fondo monetario internazionale.

Di conseguenza, larghi strati della popolazione ne chiesero la liberazione, che arrivò nel 1994 grazie ad un’amnistia; fu però costretto ad abbandonare l’esercito. Nel 1997, dopo aver incontrato e ricevuto il sostegno di Fidel Castro, decise di entrare in politica, fondando il Movimento Quinta Repubblica (MVR), nel quale confluirono tutte le formazioni politiche della sinistra venezuelana. Il 6 novembre 1998 arrivò la vittoria: Chàvez divenne presidente con il 56% dei voti.

Cardine del programma elettorale fu il progetto di redigere una nuova Costituzione che entrò in vigore, confermata  da un referendum popolare, a dicembre del 1999. La nuova Costituzione fu il punto di partenza per iniziare il processo di radicale trasformazione del Venezuela: da democrazia rappresentativa a paese  del “socialismo democratico”. Chàvez, infatti, dovette far fronte alla disastrosa situazione economica in cui versava il paese in quegli anni: l’87% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà.

Parallelamente alla riforma dello Stato, la politica economica chavista si direzionò, fin da subito, contro la borghesia: il presidente mobilitò in una lotta di classe perenne la parte più indigente della società contro le fasce medio-alte, indipendentemente da come essere avevano costruito la propria ricchezza.

Queste scelte, unite a politiche oggettivamente efficaci contro la povertà e tese alla giustizia sociale (istruzione e sanità gratuita, pensioni, aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici, abolizione del latifondo e, soprattutto, nazionalizzazione dei pozzi petroliferi) aumentarono a dismisura il mito di Chavez e lo portarono al successo elettorale in ben tre elezioni consecutive: 2000, 2006 e 2012.

Successi elettorali, però, condizionati anche dalle politiche decisamente limitative dei diritti civili: gli anni della presidenza non brillarono per  libertà di opinione e di pensiero,  varie tv e giornali a lui avversi vennero chiuse, umiliando, in sostanza, qualunque forma di dissenso e opposizione alle sue scelte.

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