A suon di tasse
[ad]Tasse: il più grande protagonista del 2012. Assieme all’emissione di Buoni del Tesoro, e quindi alla creazione di debito, le tasse sono il secondo dei due metodi attraverso cui lo Stato si finanzia. Dove l’imposizione fiscale costituisce una transazione immediata di denaro, il debito invece dilaziona le proprie implicazioni su un orizzonte temporale più ampio. Lo Stato ottiene una somma di denaro nell’immediato con l’obbligo di restituirla a distanza di anni, maggiorata di un interesse.
Tra i due, l’imposizione fiscale è lo strumento “fisiologicamente migliore” per il finanziamento della cosa pubblica, non avendo strascichi e non rappresentando un obbligo continuativo per la collettività. La creazione di debito è infatti sostenibile finchè l’economia è florida e il PIL cresce. In periodi di rallentamento e di crisi, qualora le tasse possano essere abbassate, il debito accumulato pesa sulla collettività riducendo lo spazio di manovra e le vie d’uscita.
L’imposizione fiscale non è tuttavia uno strumento privo di lati negativi. Come è facilmente intuibile, le risorse in entrata verso le casse statali sono costituite da porzioni del reddito dei cittadini, a cui questi hanno dovuto rinunciare, e che avrebbero potuto destinare al consumo o al risparmio (cioè all’investimento), due attività che come è noto tendono a giovare all’economia nel complesso. In assenza di tassazione tuttavia non avremmo, per restare sul banale, la disponibilità di servizi pubblici che abbiamo (fornitura di energia, trasporti, scuola, istruzione, pensioni, citando i primi che mi vengono in mente) e la cui esistenza è possibile solo attraverso il pooling delle risorse comuni e la loro allocazione in destinazioni di interesse condiviso. Il problema dell’imposizione fiscale non è quindi il fatto che esiste, ma piuttosto cosa succede quando aumenta, e quando aumenta troppo.
Vi presento la Curva di Laffer, che descrive graficamente la questione dell’imposizione fiscale.
Sull’asse orizzontale è rappresentata l’imposizione fiscale (generalmente in percentuale, cioè più si va verso destra, più è vicina al 100%: in tmax siamo in una distopia sovietica), sull’asse verticale il gettito d’imposta, cioè quanto lo Stato incamera. Il punto A rappresenta lo stato di cose ottimale: lo Stato riceve il massimo gettito possibile con imposizione pari a t*. Aumentando l’imposizione fiscale fino a t3 arriviamo al punto B. Il punto B ha anche un “gemello” a sinistra dell’imposizione ottimale: il gettito per lo Stato sarà identico sia diminuendo l’imposizione a t1 sia aumentandola a t3. Se nel caso t1 è semplice capire perchè il gettito è minore, in t3 le entrate diminuiscono perchè le risorse sottratte alla disponibilità dei contribuenti sono troppe: diminuiscono i redditi e con essi i risparmi e i consumi, traducendosi nel tempo in un rallentamento dell’economia, e quindi, alla fine del ciclo, anche la stessa base imponibile.
Va da sè che lo Stato ha interesse ad avere le maggiori entrate possibili, ma dovendo solo far fronte alle spese di mantenimento dei servizi pubblici non ha alcun interesse ad arricchirsi a spese della collettività. Aumentare l’imposizione fiscale oltre una certa percentuale t* diventa deleterio se entro un certo tempo non viene riabbassata, perchè a perderci è l’economia nel suo complesso: la proverbiale zappa sui piedi.
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