Quo vadis Italia? Crisi politica e scenari futuri
[ad]Grande è la confusione sotto il cielo di Roma. E non è assolutamente vero che i grandi capitali avessero previsto questo o che sapessero come sarebbero andate a finire le cose, tanto è vero che la borsa italiana quel giorno, quando furono pubblicati gli instant poll (pesantemente sbagliati checché ne dica qualche analista di sondaggi), prese il volo mettendo un +5% in pochi minuti. Una volta noti i dati reali crollò fino a un pesante -4%.
Brancolavano nel buio tutti, anche noi, che ci siamo guardati bene dal fare sondaggi durante gli ultimi 15 giorni dal voto e dare numeri che ritenevamo a quel punto inattendibili. Si era arrivati ad un punto che bisognava fare delle ipotesi forti per stimare il M5S, perché quello che veniva fuori non aveva precedenti, e non ce la siamo sentita di continuare (la prossima volta ci saranno maggiori dati di fatto sui quali basarsi, e cercheremo di farli).
L’incertezza, come dicevamo, è l’unica cosa che i mercati non amano. Persino la certezza di una cattiva notizia, una volta scontata, non causa tanti danni come il non sapere come andrà a finire. Questa incertezza permane e pervaderà le prossime settimane in maniera anche peggiore, senza alcun dubbio. Siamo senza Governo, con un Presidente della Repubblica al quale restano pochi giorni di mandato, e senza sapere chi sarà il suo successore, ma soprattutto non sappiamo come uscire fuori da questa crisi.
In un bell’articolo pubblicato oggi Patané descrive gli scenari possibili. Non condivido del tutto le percentuali assegnate ma trovo l’elenco proposto esaustivo, pertanto non lo ripeto. Quello che invece voglio fare è cercare di fornire gli strumenti per capire come si evolverà la situazione nei prossimi giorni. C’è un calendario fitto di appuntamenti, ognuno di essi ci dirà moltissimo di quello che accadrà successivamente, ma andiamo con ordine.
Nei giorni che ci separano dal 15 marzo ci saranno inutili schermaglie sui media tra Bersani e Grillo, saranno ripetuti fino alla nausea gli 8 punti di Bersani. Come Ricolfi su La Stampa ha fatto notare questi 8 punti continuano a parlare politichese, evidentemente l’unica lingua che il buon Bersani conosce (sempre meglio di giaguari e tacchini, ma non aiuta molto). A parte la sequenza di intenti che non si capisce bene poi cosa dovrebbero produrre come “revisione degli emolumenti” (quanta gente sa cosa voglia dire davvero questa frase?!), “norme contro il consumo del suolo” (detta così mi fa pensare al consumo delle suole delle scarpe), “norme sull’acquisto della cittadinanza” (vendiamo la cittadinanza? Non male come business, quanto costa al chilo?), c’è da dire, come ha notato il sindaco di Padova (sempre del PD), che questi non sono 8 punti ma 50… (pare che siano in realtà 36)
Tutto questo rende chiaro, e concordo con Ricolfi, che questi sono assolutamente inadeguati al ruolo che vorrebbero ricoprire. Come non chiedersi perché non abbiano declamato questi 8 (o 36) punti prima del voto? Sulla base di questo trovo eccessive le critiche di Crozza e Gramellini verso i neo deputati grillini a proposito della loro incompetenza; gli altri – a parte rare eccezioni – che competenze hanno dimostrato finora?
No non voglio parlare di come ci si possa lamentare del nuovo che avanza quando il vecchio è quello che conosciamo, come dice Bracconi su Repubblica; troppo facile parlare di Razzi e Scilipoti (che competenze avevano?) o di quelli che hanno rovinato l’economia per anni apparendo chissà che geni come Tremonti (che per inciso è solo un avvocato tributarista e non un vero e proprio economista, ma nessuno ha fatto il casino che è stato, giustamente, fatto con Giannino).
Io voglio parlare di quelli che da molti sono ritenuti i migliori a sinistra. Voglio parlare di persone oneste, perbene, con ottime intenzioni e ideali, persone con esperienza politica, con competenza anche.
Dimentichiamo per un attimo gli inciuci legati a D’Alema e ai suoi (che pure ci sono e contano), dimentichiamo gli scandali come quelli di Penati, del MPS, di Consorte ecc… e ascoltiamo quelli bravi seri competenti e onesti di cui il PD è oggettivamente pieno, che sono genuinamente convinti che non ci vogliano proposte precise ma che quello che conta è solo una netta dichiarazione di intenti e di sensibilità, perché se uno facesse delle promesse precise dovrebbe poi scontrarsi con la realtà. E’ il parlamento poi, nella sua saggezza (secondo loro), che deve portare avanti le proposte tenendo conto di quello che è la realtà effettiva. Un parlamento che ha la funzione di elaborare gli intenti politici, adattarli alla realtà, valutare pesi e contrappesi, valutare le controindicazioni e dare come risultato un qualcosa che porti il benessere collettivo in una direzione che è anche solo vagamente verso gli ideali e le sensibilità votate.
Tutto molto bello ed ideale. Anzi è esattamente la ragione per la quale esiste la democrazia rappresentativa.
Peccato che non stia funzionando.
Quando Grillo attacca la classe politica perché autoreferenziale e dice che loro non servono i cittadini ma sé stessi, dice delle cose che sono sentite come vere da una parte enorme della popolazione, e non a torto evidentemente. Se ci pensate il dare questa centralità e soprattutto l’ultima parola al parlamento, con le sue lobby e le sue pastoie, significa proprio dargli il potere di continuare a fare delle dichiarazioni di intenti per poi nella realtà dei fatti fare tutt’altro scendendo a compromessi di ogni sorta, e creando delle scappatoie legali senza che il proprio elettorato, persino il più attento ed apparentemente idealista, se ne lamenti. Perché a molti di loro in fondo sta bene così, basta che si mantenga la parvenza di rispetto delle regole.
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[ad]Altri pensano che queste sensibilità “etiche” siano strumentalizzate da falsi moralisti che approfittano della buona fede di un enorme gruppo di ingenui sconnessi dalla realtà. Un enorme gruppo di “fanciulloni” buonisti che hanno come stella polare il politically correct e passano la vita a indignarsi per frasi sentite da altri.
A parole le “anime belle” gridano in tutti i modi (dicendolo in buona fede, sia chiaro) che sono per la “meritocrazia” a tutti i livelli. All’atto pratico sembrano non avere la più pallida idea di cosa significhi (ed è in effetti difficile come concetto, come è emerso in una bellissima discussione sul nostro forum), visto che non legano assolutamente il loro comportamento elettorale coi risultati ottenuti da chi hanno votato, e visto che la loro fede verso il parlamentarismo, e ciò che a chiacchiere può essere definito politically correct, è incrollabile. Rosy Bindi, per esempio, ha dimostrato di non essere all’altezza del compito che ricopre ma va difesa anche perché vittima degli insulti poco galanti fatti costantemente da Berlusconi verso di lei, ma come lei ci sono un sacco di vittime della mancanza di “bon ton” da tutelare. Anna Finocchiaro va difesa in quanto donna (è stata persino avanzata una sua candidatura al Quirinale in quanto donna) malgrado siano anni che ripete in tv, dopo ogni sconfitta, la stessa frase: “non siamo stati bravi a comunicare con gli elettori”. Dopo oltre dieci anni che dice la stessa cosa a qualcuno non viene il dubbio che non sia proprio arte sua? Eppure è donna e quindi, siccome candidare una donna è politically correct, fare il suo nome significa strizzare l’occhio a questo tipo di elettorato, che giura di essere per la “meritocrazia” ma che evidentemente non ha ben chiaro di cosa si tratti.
Ora, dopo questa premessa, torniamo al tema del “cosa accadrà a breve” continuando il discorso iniziato nella puntata precedente. Dopo la serie di inutili schermaglie dialettiche di questi giorni il primo passo vero sarà fatto il 15 marzo con l’elezione dei presidenti di Camera e Senato.
Qualcuno nel PD (D’Alema) chiede che si dia la presidenza del Senato al PDL e quella della Camera al M5S.
Posto che il M5S rifiuterà certamente – ed è difficile aspettarsi che Grillo non si sieda sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere dei partiti tradizionali – ci dovremmo trovare in uno scenario con la Camera presieduta da un membro del centrosinistra e il Senato presieduto da un membro del centrodestra. L’alternativa è dare una delle due camere al gruppo dei montiani i quali possono garantire in cambio i voti necessari per un Presidente della Repubblica scelto dal centrosinistra e stringere un patto elettorale per le prossime elezioni con il PD magari a guida renziana (diversi degli eletti nella lista di Monti erano militanti o iscritti al PD di fede renziana fino a dicembre scorso). Sarebbe la cosa più facilmente digeribile dalla base degli elettori di centrosinistra, ma i voti dei montiani non bastano al Senato. Quindi tutto questo dovrebbe implicitamente avere il gioco del voto contrario di soli 15 (e non di più) senatori del M5S mentre gli altri dovrebbero uscire dall’aula. In questo modo potrebbero eleggere il Presidente del Senato senza temere richieste di controllo del numero legale in aula. Questo sarebbe il prodromo della nascita di un governo di minoranza (a meno che il PDL non si spacchi soprattutto al Senato ma la cosa appare, al momento, difficile), che faccia pochissime cose e poi porti al voto di nuovo. Voto che comunque non potrebbe essere proprio immediato e slitterebbe probabilmente ad ottobre prossimo con tutti i rischi del caso, ovvero passare mesi senza un governo… questo già solo per una questione di tempi tecnici della nostra farraginosa democrazia.
Lo scenario quindi inizia a dare delle indicazioni da non sottovalutare: se il Presidente del Senato sarà del PDL è estremamente probabile un governo (tecnico o politico non importa) che sia sostenuto da PD e PDL. Se uno dei due presidenti sarà della lista Monti e l’altro del centrosinistra allora è probabile che ci sarà un governo di minoranza e che si torni presto al voto.
Un passo successivo vede la formazione vera e propria del Governo, se saremo nello scenario di Senato al PDL vedremo un tentativo suicida di Bersani infrangersi al Senato, cosa che darà forza a chi vuole un accordo in qualche forma con il PDL e questo si materializzerà in maniera definitiva dal 15 aprile se il nome scelto per la Presidenza della Repubblica sarà frutto di un accordo tra centrodestra e centrosinistra, escludendo di fatto Monti e il M5S. Il nome molto gradito a Berlusconi è quello di Amato, ex craxiano e personalità di alto profilo del centrosinistra italiano da sempre. Evidentemente Berlusconi ritiene una presidenza Amato una garanzia per sé e per il suo assetto di potere visto che lo propone ogni 7 anni dal 1999 al 2006 fino a oggi. Ma anche D’Alema è un candidato molto forte e molto gradito al cavaliere.
E’ possibile pure che cerchino di bruciare un nome importante come quello di Prodi facendolo impallinare dai franchi tiratori del PD (quelli che vogliono a tutti i costi l’accordo col PDL e con Berlusconi, e dopo il 15 aprile vedremo quanti sono) per poi forzare la mano agli altri colleghi di partito verso una candidatura gradita al cavaliere, che aspetta ad occhi chiusi che qualcuno nel PD lavori per lui.
E’ evidente che se il prossimo Presidente della Repubblica sarà Amato (o D’Alema) l’accordo PD-PDL sarà quasi automatico. Ad onta di tutti quegli elettori del PD che in queste ore si sgolano a dire “mai un accordo col PDL altrimenti non vedranno mai più il mio voto”. Tranquilli, qualche voto lo perderanno per strada, come sempre, ma poi il grosso voterà PD lo stesso per il ragionamento fatto sopra: questo accordo sarà frutto di una sintesi parlamentare, e questo genere di elettore ha il dogma del parlamentarismo. Aggiungete a questi quelli delle clientele passate presenti e future (perché una cosa è certa la spesa pubblica con un governo PD-PDL esploderà in una maniera tale che a confronto Craxi si rivelerà un dilettante) e otterrete un blocco di potere autoreferenziale granitico di almeno il 15-20%. Ovviamente Berlusconi avrebbe qualsiasi salvacondotto per sé e per le sue aziende (che, non dimentichiamoci, sono una “risorsa per il Paese” come disse l’amabile D’Alema nel 1996), ma questo sempre in nome del bene della nazione, ovvio no?
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[ad]Poco importa se questo governo sarà tecnico o politico nella composizione (ma c’è da scommettere che sarà politico con qualche tecnico qua e là), ci divertiremo a vedere sottosegretari Latorre e Gasparri che magari potranno scambiarsi pizzini alla luce del sole senza che questo scateni indignazione.
Ricordo elettori del PD indignati per il gesto di Latorre, ma proprio lui, indagato e salvato da probabile condanna per il caso BNL dalla giunta delle autorizzazioni a procedere, dove è adesso? Nella segreteria nazionale del PD, a perorare la causa di un accordo di governo col PDL. E se questo dovesse accadere chi potrà dire che la sua posizione era marginale o poco importante?
Una volta nato questo governo il PDL deciderà quando staccare la spina (dopo aver avuto il salvacondotto definitivo per Berlusconi probabilmente) perché la natura del PDL è quella dello scorpione e il PD, dopo aver eletto Amato o Gianni Letta, si piegherà a qualunque richiesta del Quirinale in nome della “responsabilità” (qualunque cosa voglia dire a questo punto).
Ah, dimenticavo, se vi dovessero dire che lo si fa per la difficile situazione economica sappiate che non è vero, lo dice anche Draghi che i mercati non temono le elezioni, sarebbe solo una ennesima scusa per continuare a generare spesa pubblica e mantenere clientele ed apparati, da un lato, e rassicurare elettori tifosi, “trinariciuti” e “anime belle” parlamentariste, dall’altro.
L’alternativa, come dicevamo, sarebbe per loro quella di eleggere Prodi o Monti alla Presidenza della Repubblica per poi celebrare il nuovo congresso di partito in tempi record – consegnando di fatto il partito nelle mani di Renzi, cosa che molti in direzione non vogliono affatto anche perché lui propone l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti -, per andare al voto con una alleanza allargata dopo aver fatto pochissime ma significative cose. Ma per farlo dovrebbero tirare fuori un coraggio che questi non hanno mai dimostrato in tanti anni. Gli indizi per ora sono chiari: il governo si farà a qualunque costo, anche Napolitano lo invoca, inventando anche la scusa dei mercati (scusa fasulla come abbiamo visto), dando la colpa a Grillo per il mancato accordo sugli 8 (o meglio 36) punti, magari sperando di trovare qualche scandalo nel frattempo che lo distrugga (il gruppo l’Espresso sta scaldando i motori).
Non ha alcuna importanza il fatto che non uno di questi punti di cui si parla adesso sarà realmente portato avanti come si deve. Ma vi immaginate Berlusconi che fa votare al PDL una legge che sia davvero contro il suo conflitto di interesse? O vi immaginate che magari il PD possa cercare i voti del M5S facendo passare giusto questa legge, senza che il PDL un secondo dopo non faccia cadere il Governo, chiedendo a gran voce e a reti unificate le elezioni?
E’ assolutamente impossibile che anche uno solo di quei punti venga mai approvato in caso di accordo PD-PDL (a meno di scappatoie legislative che lo rendano perfettamente inutile) in questa legislatura, il che vorrà dire che Bersani e tutti quelli che hanno votato la sua mozione all’unanimità (con un solo astenuto) in realtà stavano scherzando. Come sempre del resto.
Tutto è ancora possibile, sia chiaro, ma visti i precedenti è difficile aspettarsi atti di coraggio da parte di un partito in questo momento solo apparentemente compatto. Non ci resta che aspettare il 15 per vedere come si comporteranno i nuovi parlamentari e chi comanda veramente.