Il Partito Democratico punta ad un governo di minoranza. E attraverso otto punti qualificanti (costi della politica, lavoro, Europa ecc…) mira ad ottenere i preziosi voti di fiducia dei senatori Cinque Stelle a Palazzo Madama.
[ad]Si tratta di una linea concordata e approvata dalla direzione nazionale del Pd. Ed oggettivamente appare l’unica strada praticabile per Bersani che sembra quanto mai poco propenso ad accordi col centrodestra a trazione berlusconiana.
Tanto che non stupisce l’unanimismo della direzione Pd alla proposta di Bersani: non ha vinto queste elezioni, soprattutto moralmente, ma essendo arrivato primo a lui spetta il primo passo.
C’è però da scommettere che, nel caso di fallimento di questo difficile asse coi grillini, la prossima assemblea democratica sarà tutt’altra che unanime considerando lo schieramento pro-governissimo e quello favorevole ad un ritorno al voto.
C’è però una contraddizione di fondo nella proposta del Pd ai Cinque Stelle. Una contraddizione che, considerando gli stretti margini di manovra di Bersani, rischiano di mandare definitivamente in malora la difficoltosa operazione politica.
L’approccio del Movimento Cinque Stelle nel corso di questi ultimi quattro anni è stato di critica totale a tutto il sistema dei partiti. Per Grillo, padre padrone del movimento pur non candidato in nessuna circoscrizione parlamentare, Berlusconi non si differenzia molto da Bersani e lo stesso Pd è denominato dal comico genovese il “pdmenoelle”.
Un approccio paradossalmente stalinista. Ma di quello pre-Seconda Guerra Mondiale: Hitler come Roosevelt, Churchill come Mussolini.
Non c’è differenza.
Senz’altro si può osservare che in questo periodo storico per quanto alcune categorie della politica appaiono superate, una certa differenza tra sinistra e destra sussiste ancora.
Di conseguenza la posizione grillina è nella migliore delle ipotesi pressappochista.
E’ innegabile però che questa condotta ormai fa parte del patrimonio genetico del movimento e non è escluso che gran parte degli elettori Cinque Stelle, per quanto ex elettori di centrodestra o centrosinistra, condividano in gran parte l’equivalenza tra Berlusconi e Bersani.
Ora, nelle intenzioni dei grillini, considerando che nessuno prospettava la maggioranza assoluta dei seggi per Grillo sia alla Camera sia al Senato, l’obiettivo massimo era quello di contribuire all’attività legislativa del parlamento. Ponendo i temi prioritari per l’agenda politica grillina (le famose cinque stelle) e stanando i tentativi dei partiti di non risolvere i vari problemi del paese.
Lo scenario post-voto però paradossalmente carica di responsabilità maggiori Grillo, perché dipende proprio da lui l’esistenza o meno di un governo in grado di governare e di conseguenza di produrre, in sede parlamentare, atti di carattere legislativo.
Da qui l’ipotesi, molto spesso spiegata in malo modo, su una certa “simpatia” del Movimento Cinque Stelle nei confronti del governo d’unità nazionale: in questo modo infatti la responsabilità di un voto di fiducia al governo spetterebbe ai partiti “tradizionali”. Loro si accollerebbero le responsabilità dell’esecutivo, i grillini potrebbero porre i loro temi in aula e al tempo stesso capitalizzare elettoralmente scossoni e atti impopolari dell’esecutivo.
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Grillo non è disposto a votare la fiducia per nessun governo. Figuriamoci per un governo di minoranza dove tra l’altro il suo voto sarebbe determinante.
[ad]In casa democratica però si fa notare indirettamente a Grillo: se volete contribuire all’attività legislativa attraverso i vostri temi, è necessario un governo. E un governo esisterà solo se voi voterete la fiducia ad un esecutivo a guida Bersani.
Questa proposta, che ha una sua fondatezza apparente, in realtà è una mossa assolutamente priva di senso che anzi rischia di far naufragare un ipotetico asse Bersani-Grillo.
Se infatti si chiede ai Cinque Stelle di votare un governo, perché altrimenti loro non potrebbero avere l’occasione di portare il loro contributo alla vita del parlamento, si invita Grillo ad entrare in una strada senza uscita.
Perché, secondo questo ragionamento del Pd, il Movimento Cinque Stelle non potrebbe votare contro proposte assurde, o considerate contrarie al movimento, proposte dal Pd. In quanto con questo voto contrario rischierebbe di cadere il governo. E facendo cadere il governo non potrebbe “contribuire all’attività legislativa”. Di fatto dunque Bersani non sta proponendo un compromesso su otto punti qualificanti al M5S, ma sta proponendo a Grillo di votare qualsiasi provvedimento funzionale a tenere in vita un qualsiasi esecutivo.
La proposta fatta dal Pd ai grillini è dunque priva di senso. E ci mostra il reale significato di questa apertura a Grillo: non tanto quello di comporre un esecutivo stabile ma quello di scaricare il più possibile le responsabilità di un ritorno alle urne sulle spalle del comico genovese.