I protagonisti del post elezioni

Dati i risultati quantomeno incerti, per non dire disastrosi, delle ultime elezioni politiche, ho preferito attendere un po’ di tempo per esprimere qualche commento, confidando ottimisticamente in qualche sorpresa. Purtroppo sono rimasto deluso.

Per dovere di cronaca, riporto sinteticamente qui di seguito i risultati pervenuti lunedì 25 febbraio:

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[ad]Ogni protagonista di queste elezioni ha quindi in mano circa un terzo del Parlamento, salvo la Lista Monti, che supera a stento le soglie di sbarramento sia per la Camera che per il Senato. Il gioco si riduce sostanzialmente a tre player: Bersani, l’inaffondabile Berlusconi, e Grillo.

Passate due settimane dai risultati elettorali, siamo ancora in stallo senza Governo (anche senza Capo della Polizia e fino a mercoledì anche senza Papa, uno scenario decisamente Punk), in una situazione che Crozza ha definito con cinematografica precisione “un mexican standoff“. Chi punta la pistola alla testa di chi? E soprattutto, quante pistole sono puntate alla nostra testa?

–        Bersani: Sebbene possieda la maggioranza relativa dei voti e quindi abbia tecnicamente “vinto”, Bersani è il grande sconfitto di questa tornata elettorale. Complice una campagna elettorale non del tutto indovinata (“smacchiare il giaguaro”?), e, c’è chi dice, il fatto che alle Primarie non ha vinto Renzi. Riguardo Renzi, è anche vero che siamo come al solito dei grandi campioni del senno di poi: il fatto che Bersani sia stato candidato Premier è un’espressione della democrazia, e se vogliamo, della qualità della democrazia che l’Italia possiede. Girano già alcune indiscrezioni secondo cui Napolitano stia telefonicamente sondando Renzi per la creazione di un Governo (http://www.linkiesta.it/node/32378#ixzz2N3lgrmaK). Sono solo indiscrezioni, ma qualora fosse vero, sarei curioso di vederne l’esito. Riuscisse Renzi a mettere in piedi qualcosa di sufficientemente stabile, ottenendo quindi una fiducia abbastanza diffusa, mi chiederei dove si erano nascosti tutti questi sostenitori di Renzi alle Primarie del 25 novembre scorso.
Volevo parlare di Bersani, e sono finito a parlare di Renzi: anche questo ironicamente potrebbe essere indicativo. Il fatto è che, a mio avviso, eravamo tutti quanti così sicuri di un prossimo governo Monti-PD che i vertici stessi del PD si sono seduti sugli allori, scossi dalla improvvisa ricomparsa di Berlusconi ma subito riovattatisi dietro un rassicurante “tanto gli Italiani non lo rivoterebbero mai, non dopo quello che è successo negli ultimi mesi del suo Governo, nel 2011”. A seguire, interventi sulla difensiva: smentite delle sparate di Berlusconi, smentite dei proclami di Grillo, che ai fatti non hanno nè indebolito loro, nè rafforzato il PD. I risultati di questa strategia sono poco sopra, nella tabella.

 

–        Berlusconi: inaffondabile protagonista della Seconda Repubblica, dove è riuscito a orientare su sè stesso l’intero asse politico/ideologico, facendo nascere il partito ad personam (Forza Italia, il PDL, ma anche l’Italia dei Valori, che sebbene sia stato ad Dipietrum sulla superficie, nei fatti ha sempre continuato a ruotare attorno a Berlusconi) e scompaginando le categorie tradizionali di destra e sinistra. Come esempio valga su tutti il garantismo: prima tradizionalmente appannaggio della sinistra e  associato ora alla destra (pidiellina), nei fatti si continua a conciliarsi malissimo quando la fattispecie non riguarda Berlusconi – immaginate le reazioni garantiste di un leghista quando un immigrato risulta delinquere per la sua condizione di clandestino? Non ci riesco nemmeno io.
L’attrazione gravitazionale del Cavaliere è così grande che ha conquistato il 30% dei voti, di fatto allungando dolorosamente il periodo di transizione verso una Terza Repubblica che si fa sempre più lontana. Sondaggisti, politici, analisti, gente comune, chiunque (meno che i suoi elettori) si sono chiesti come è stato possibile che nonostante tutto ciò per cui si sono sprecati litri di inchiostro, un terzo dei votanti abbia continuato a scegliere lui. Mentre certi ambienti di certa sinistra hanno preferito continuare con l’approccio classico e stagionato (“l’elettorato è stupido/non ci ha capito”), io ho preferito il dialogo, e ho recentemente discusso con alcuni amici che mi hanno presentato uno scenario differente.

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L’elettorato principale del PDL, oltre ai vecchi che non possono fare a meno di Mediaset, e ai giovani rampanti che continuano a considerare il parcheggio in doppia fila come un diritto, il suo elettorato è composto dagli imprenditori. I titolari delle piccole e medie imprese – certo non tutti, generalizzo, ma almeno una buona parte – che costituiscono la quasi totalità del tessuto industriale del Paese. Per quale ragione, secondo questo scenario? Andando per esclusione.

[ad] La sinistra non si considera: sono ostili alla libera impresa, sia per ideologia, sia per politiche pubbliche. Monti non può avere il voto, perchè mentre parla di grandi sistemi, di finanza internazionale e di debito pubblico, che il piccolo imprenditore vede lontanissimi, aumenta le tasse. È ovviamente un professore che del classico “conto della serva” non capisce nulla, ed è meglio che torni a fare il professore. Non rimane che la Lega, travolta dagli scandali legati alla famiglia Bossi e dalla romaladronizzazione della dirigenza, e Berlusconi.
Attendiamo con ansia un’alternativa, o una maggiore consapevolezza degli imprenditori che l’hanno votato.

 

–        Grillo: Il Movimento 5 Stelle rappresenta la reale novità delle ultime elezioni. Al “battesimo” delle elezioni politiche si sono affermati come il primo partito per voti ricevuti, sopravanzando il PD alla Camera, e, seguendo la retorica del M5S, facendo entrare in Parlamento la cittadinanza. Il Movimento si innesta nella corrente incarnata negli ultimi tempi dai vari movimenti “Indignados” e “Occupy”: movimenti partiti dalla gente comune, privi di una reale gerarchia, organizzati tramite la Rete, che portano avanti forti dello scontento popolare istanze di generica giustizia sociale.
Le somiglianze tra questi movimenti e il M5S tuttavia si fermano alla superficie.
Alla base dei movimenti “Occupy” c’è la distinzione identitaria tra il “99%” e l'”1%”, cioè tra i “pochi” (ricchi) e i “molti” (non ricchi) vecchia quanto la politica stessa. Secondo questa distinzione, due ricchi e anziani imprenditori – uno proveniente dal mondo dell’entertainment e l’altro da una florida carriera nel marketing e nella comunicazione – sarebbero ascritti senza appello nell'”1%”. Per il M5S, invece, Grillo e Casaleggio sono leader da seguire.
L’assenza di gerarchia e l’organizzazione orizzontale via web è possibile fin quando non emergono dei leader, che finiranno per contendersi la leadership sull’intero movimento, come succede in qualsiasi fenomeno sociale “fluido”, che per passare ad un’azione efficace deve necessariamente organizzarsi e canalizzare le proprie energie. Nel M5S di tutto ciò rimane solo il web: lo spazio destinato alla discussione è il blog di Grillo, il quale è anche il presidente del Movimento (come da atto costitutivo, lo stesso atto secondo cui suo nipote ne è vicepresidente, e segretario risulta il commercialista Enrico Maria Nadasi), e de facto ne detta le linee programmatiche in virtù del carisma che ha guadagnato o che gli viene riconosciuto. Nonostante quello che Grillo voglia far credere, quindi, nel M5S c’è ben poco di grassroots: il Movimento si aggrega intorno a Grillo fin dall’inizio, e ne dipende esclusivamente (titolarità e gestione del marchio e del sito internet sono interamente in capo a Grillo).
Esempi eclatanti della effettiva mancanza della democrazia interna al Movimento (declinata nella “consultazione costante” che dovrebbe attivarsi tra i membri, e portare a delle decisioni) si sono visti negli ultimi tempi, primo tra tutti il caso riguardante l’alleanza del PD. La base elettorale del Movimento è stata molto chiara in proposito, sia tramite l’organizzazione di petizioni online, raccolte di firme e affini, sia commentando duramente i post di Grillo sul suo blog, invitandolo all’apertura e a non buttare via con l’isolamento il risultato raggiunto e la possibilità di influenzare pensantemente l’azione di un Governo Bersani. Persino alcuni degli eletti alla Camera, lasciandosi sfuggire qualche dichiarazione, non si ritenevano a prescindere contrari ad una collaborazione con il PD: in merito a questo, Grillo ha pensato bene di proibire a tutti gli eletti tranne i capigruppo di Camera e Senato di rilasciare dichiarazioni (http://www.lastampa.it/2013/03/07/italia/politica/grillo-solo-i-capigruppo-titolati-a-parlare-a-nome-dei-cinque-stelle-7OJw23UIJS0I1s2mRBataI/pagina.html). Lo stesso Grillo che non ricopre alcuna carica, e che secondo il “non-statuto” non potrebbe nemmeno essere eletto, in quanto condannato nel 1988 per omicidio colposo.

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C’è un silenzio assordante dove invece dovrebbe esserci una consultazione (magari un referendum online) con la base del Movimento sulla questione. Invece non mancano le invettive, rivolte contro un’altra petizione di analogo scopo, contro gli “intellettuali venduti” (http://www.beppegrillo.it/2013/03/la_funzione_deg.html).
[ad]È la retorica del “noi VS loro” che permea in ogni dove l’intera concezione del mondo del M5S, e che con buona pace dell’antipolitica di cui si fanno scudo, li colloca con una certa facilità tra i populismi di destra, in compagnia di Lega Nord e in misura minore anche di Berlusconi. È in base a questa retorica che vanno analizzati alcuni punti del suo programma: l’introduzione del reddito di cittadinanza e la riduzione delle tasse non possono essere interamente finanziati soltanto con l’azzeramento del costo della politica e l’abolizione del rimborso elettorale, in qualsiasi stima c’è un divario di qualche miliardo che non andrebbe coperto. Ma se la visione del mondo del M5S è tale per cui le cause di tutti i problemi del cittadino e del Paese (“noi”) sono attribuibili alla “casta” (politici, multinazionali, lobby, intellettuali corrotti e non corrotti, “loro”), ecco che attraverso la magia della spiccia giustizia sociale tutti i problemi si risolvono, e la gente comune finora prigioniera di un subdolo inganno può finalmente liberarsi e raggiungere il suo reale potenziale. Toni messianici che possono sembrare ridicoli, e spero lo sembrino, ma non sono fuori luogo in uno qualsiasi dei video della Casaleggio&Associati (http://www.youtube.com/watch?v=sV8MwBXmewU).
Sempre la retorica del Noi VS Loro è utilissima per produrre nemici e compattare il gruppo, e così è stata usata, a partire dall’espulsione di Favia e Salsi (“chi non è d’accordo va fuori dalle palle”) fino agli ultimi eventi, quando molti degli scheletri nell’armadio del M5S stanno venendo alla luce, in cui chi critica è un “infiltrato”, e chi rilascia dichiarazioni imbarazzanti (come quella dei microchip di controllo impiantati sottopelle negli USA) è “supposto attivista”. Uno scenario che ricorda molto la Russia degli anni ’50, e che cozza rumorosamente con l’idea di un movimento privo di gerarchia, basato sulla consultazione costante e sull’assenza di leader, dove “uno vale uno”.
La maggior parte delle contraddizioni interne al Movimento erano perfettamente visibili  già dopo uno sguardo, nemmeno troppo approfondito, al programma elettorale. La mia opininone è quindi che il voto dato a Grillo non è stato un voto per Grillo, ma un voto contro gli altri: nè più nè meno di un voto di protesta.

Una volta che abbiamo conosciuto chi impugna le pistole, in che misura l’ennesimo teatrino della Seconda Repubblica finisce per riguardarci? Chi saranno i veri protagonisti del post- elezioni ?

La risposta è racchiusa nell’articolo 94 della Costituzione, specificatamente dove recita: “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere” e “Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia“.
Questo non indica l’endorsement affidato a ciascun decreto del Governo, come le precedenti pratiche berlusconiane ci hanno abituato a considerare, e come la candidata grillina alla Presidenza della Camera Marta Grande sembra avere inteso, ma indica il voto di fiducia preliminare all’insediamento del governo, che ne legittima l’operato successivo. Non tutti gli ordinamenti democratici hanno questo passaggio nella procedura di formazione del nuovo Governo, ma da noi è parte della Costituzione. La mancanza di apertura di Grillo ad una fiducia per il Governo Bersani è la prima pistola puntata.

La seconda è il fatto che tutto ciò si svolge nel cosiddetto semestre bianco del Presidente Napolitano. In questo periodo di tempo, il Presidente della Repubblica non ha il potere di sciogliere le Camere e indire nuove votazioni, affinchè non cerchi di favorire la propria rielezione costruendo un Parlamento a lui favorevole. Nella nostra fattispecie, non può indire nuove votazioni di fronte allo stallo alla messicana di cui siamo protagonisti involontari e vagamente infastiditi.

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La terza, ed ultima, è che sebbene il Governo ci sia ancora, ed è quello tecnico di Monti (lo stesso che, ironicamente, il 90% degli Italiani preferirebbe mandare a casa ma che i loro rappresentanti continuano a mantenere in carica), la nomina di un nuovo Governo è necessaria per la nomina a cascata di alcune figure apicali chiave della Pubblica Amministrazione, che apriranno nuovi concorsi pubblici, creando posti di lavoro, indotto, e magari, se siamo fortunati, persino qualche implementazione per le politiche pubbliche che verranno. Tutto a vantaggio della nostra boccheggiante economia.

Hanno eletto il nuovo Papa, speriamo che per osmosi possiamo avere presto un nuovo Governo, e le riforme strutturali che aspettiamo dal ’94.

http://www.youtube.com/watch?v=okKeVF8nn8U

 

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di Andrea Ricciardi