In queste convulse ore di voti parlamentari, di presunti accordi su nomi di presidenti delle Camere o della Repubblica, una delle soluzioni che sta prendendo forma è quella della strana maggioranza “stile 1995”, e cioè formata dal cartello di “Italia. Bene Comune” (Pd, SeL e Centro Democratico), Scelta Civica (Udc, Fli e Lista Monti) con l’appoggio esterno della Lega Nord, in rotta di collisione con il Pdl. Una maggioranza che sarebbe ‘contata’, con pochi voti di margine sulle opposizione e sicuramente con posizioni molto distanti al suo interno.
[ad]Ma facciamo un salto indietro, e torniamo all’esperienza del 1995. Un governo, quello allora presieduto da Lamberto Dini, che vide una maggioranza variegata: il cartello del 1994 dei Progressisti, i Popolari, i Cristiano Democratici Uniti ed anche l’appoggio della Lega nord. La fiducia venne però con l’astensione del Polo, determinante per dare il via all’esperimento.
Un’esperienza che ebbe come maggior risultato quello dell’approvazione della riforma previdenziale – che prese il nome proprio dal capo dell’esecutivo – superata nel 2012 dalla riforma Fornero. L’esperimento – che ebbe però vita breve (la fase “attiva” del governo durò dal 13 gennaio 1995 all’11 gennaio 1996) – concluse prematuramente la XII legislatura, iniziata con il voto “storico” del 27 marzo 1994.
Alla conclusione di quell’esperienza, molti ricordano il tentativo estremo di Scalfaro di rimandare le urne con un mandato esplorativo ad Antonio Maccanico con l’obiettivo di prendere tempo per ricreare una formazione centrista in grado di raccogliere la diaspora della Democrazia Cristiana, ma anche quel tentativo non andò a buon fine.