Per Ulele la miglior pubblicità è il passaparola. Così recita il senso comune. E l’esplosione di Internet e dei social media ha reso nuovamente attuale questo adagio: Ulele ne è l’esempio emblematico. Il progetto Ulele è infatti leader europeo in materia di crowdfunding, meccanismo di raccolta fondi che si basa sulle reti relazionali, il cui potenziale raggio d’azione è sfruttato appieno attraverso il “megafono” rappresentato dalla Rete.
[ad]Ulele, che è nato nel 2010, ha sede a Parigi, e ad oggi ha consentito il finanziamento di circa 1800 progetti dislocati in 47 Paesi. Ulele offre uno “spazio espositivo” agli ideatori di iniziative creative e fortemente peculiari nel proprio ambito, per consentire loro di realizzarle attraverso il coinvolgimento della più vasta platea possibile di persone.
Chi ha un progetto da proporre può quindi registrarsi sul portale Ulele, inserire nome e descrizione dell’iniziativa, somma-target necessaria e data di conclusione della raccolta fondi (il termine massimo è 90 giorni). Devono poi essere stabilite le ricompense da destinare a chi effettua una donazione, così da rinsaldare il rapporto con i propri sostenitori, esprimere loro gratitudine e suscitare l’interesse di chi non conosce ancora il progetto.
Precisione e accuratezza nella descrizione dell’iniziativa, dei relativi costi e delle ricompense, consentono di guadagnare l’attenzione dei donatori, che si percepiscono parte attiva nella realizzazione del progetto. Il circolo virtuoso così innescato aumenta le probabilità di raggiungere la somma-target entro il termine temporale fissato. Ulele rappresenta una vetrina, la cui utilità è massima però solo se si sfruttano appieno anche una serie di canali collegati. Facebook, Twitter, Youtube, Vimeo, FlickR, Pinterest permettono infatti di rilanciare il progetto “contagiando” simultaneamente più piattaforme.
Se alla data di scadenza è stata raccolta la cifra fissata, il progetto parte e l’ideatore ricompensa i donatori secondo quanto pattuito in partenza. Se non si raggiunge la somma-target, le donazioni non vengono perfezionate e l’ideatore non riceve niente.
La creatività ha bisogno di gambe per camminare, generare conoscenza, ed è la comunità a fornirgliele; le buone idee hanno bisogno di condivisione per tramutarsi in buone prassi. Make good things happen, si legge sul sito. La riuscita delle iniziative lanciate su Ulele è quindi determinata, in prima battuta, dalla capacità degli ideatori di sfruttare al massimo i legami all’interno della propria comunità (il cosiddetto “primo cerchio”) stimolando il più intenso passaparola possibile. Questa prima fase è fondamentale: un progetto non è visibile sulla pagina pubblica di Ulele se non ha almeno cinque sostenitori. Maggiore è l’entusiasmo suscitato nelle persone più prossime, più probabile sarà che questo, raggiunta una certa “soglia critica”, “contagi” anche gli amici degli amici (il “secondo cerchio”). Raggiunto questo traguardo, si può sperare di coinvolgere le persone che non si conoscono (il “terzo cerchio”), il target più ambito e sfuggente, il più utile e faticoso da conquistare al tempo stesso.
La comunità è quindi protagonista, nel bene e nel male: quando aumenta, quantitativamente e qualitativamente, la partecipazione ed il coinvolgimento richiesto, il livello di responsabilizzazione e consapevolezza deve crescere in ugual misura perché le cose funzionino. Ulele infatti non è tenuta a garantire gli impegni assunti dagli ideatori dei progetti nei confronti dei donatori. Cosa li spinge quindi a contribuire in prima persona? La fiducia, una materia prima prodotta naturalmente dalle comunità in buona salute.