Le ultime elezioni amministrative hanno catalizzato tutta l’attenzione degli osservatori su Milano, dove con ogni probabilità si assisterà alla conquista della città per la prima volta da parte di una coalizione di centro-sinistra, addirittura più di sinistra che di centro-sinistra, con un sindaco ben identificato con la sinistra milanese. È un fatto storico che tuttavia non deve stupire molto visti gli errori del centrodestra milanese degli ulltimi anni e delle ultime settimane, vista, ma già se ne è parlato, l’incapacità del centrodestra a capire una città cambiata. L’insistenza dei media e dei politici stessi su Milano imporrà e sta imponendo la visione di una sconfitta del centrodestra alle amminiatrative in generale. Questa visione è falsa ma può essere utile per il centrodestra.
Se osserviamo il voto alle provinciali e alle comunali sopra i 15 mila abitanti osserviamo una conferma dei risultati del 2006 al Nord da parte delle aree di centrodestra e centrosinistra, quando c’era stato un pareggio, e un avanzamento del centrodestra al Sud, rispetto ad un 2006 che era stato negativo. Al Sud in molti casi si confermano i dati delle regionali 2010, come a Napoli. Il punto è che questa volta l’area di centrodestra si è presentata come non mai divisa, con casi tipici di un candidato ufficiale di PDL+ Lega + civiche, un candidato di UDC e FLI, e spesso un candidato dissidente proveniente dal centrodestra, come alle provinciali di Pavia, oppure a Napoli dove UDC e UDEUR sono andate da sole. La somma dei voti non è inferiore ai dati del 2006 e qualche volta a quelli del 2010, ma questo costringe a molti ballottaggi altrimenti evitabili, un caso peculiare è Varese, che ha fatto scalpore ma il risultato è banalmente quello del 2006 meno l’UDC.
Questo non può essere una giustificazione o consolazione per il centrodestra, ma piuttosto una spinta a una riaggregazione analoga a quella avvenuta a sinistra dopo l’abbandono della velleitaria “vocazione maggioritaria” veltroniana, una riaggregazione che riunisca l’area di cdx nelle stesse componenti del 2000-2008, offrendo all’elettore di centrodestra una ampia varietà di scelta che non si limiti al “Berlusconi sì-Berlusconi no”, e del resto laddove questa riaggregazione si è presentata, al Sud, è stata spesso vincente, anche per la stessa UDC che alleata al PDL non diminuisce i voti ma spesso li aumenta.
Più che una somma numerica questa riunione può e deve essere l’occasione di una offerta tematica più ampia, non limitata a “giudici comunisti” e immigrati, capace di incontrare il modo di vedere di una fascia più ampia e non oltranzista di popolazione non berlusconiana e neanche anti-berlusconiana, in grado di puntare su temi come l’economia, contrastando su questo campo il centro-sinistra, più che su giustizia e rom. Le elezioni del 2006 furono il capolavoro di questa strategia, delle “tre punte”, che portarono il centrodestra a offrire ai propri elettori anche delusi una varietà di accenti e posizioni che riuscirono ad attrarre tutto il proprio elettorato senza perdere quasi nessuno e così riuscendo in un inaspettato pareggio dopo la cocente sconfitta del 2005, neanche paragonabile a quella di oggi, che in fondo è tale “solo” a Milano.
Il punto centrale e un potenziale ostacolo a questo ritorno all’unità nell’area potrebbe essere la leadership e le idiosincrasie personali tra i leader, Casini, Berlusconi e in misura minore (vista la quasi irrilevanza nelle urne) Fini. Fondamentale sarà vedere se Berlusconi rimanendo sempre Berlusconi riuscirà ancora a cambiare, a diventare inclusivo, ad accettare nuove alleanze, nuovi toni, o se tutto ciò dovrà passare per un suo ritiro e un passaggio di testimone.