La dura vita del non-leader di centrodestra

Pubblicato il 22 Maggio 2011 alle 21:47 Autore: Fabio Chiusi
La dura vita del non-leader di centrodestra

 

Non dev’essere semplice stare nella maggioranza se non sei un leader, di questi tempi. Ti fanno passare mesi a preparare disegni di legge, emendamenti, frustate, piani, banche, grandi opere, miracoli e riforme e poi arriva il Bossi di turno e, in un baleno, spuntano i ministeri al Nord. Che non li vuole nessuno, non se ne è discusso in consiglio dei Ministri o assemblee di partito, non si capisce bene a che cosa servano (a parte rinnovare di altri vent’anni la promessa leghista) ma Berlusconi è d’accordo, ha deciso lui (per ribadire la democrazia interna, ovvio), si faranno.

È  una vitaccia. Pensi di poterti servire di un valido sottosegretario, e ti appioppano un Responsabile che non sa un’acca e arriva pure in ritardo perché non trova parcheggio. Lotti contro le case abusive e Silvio le abbuona. Sguinzagli i vigili per dare le multe, e la Moratti le cancella. Combatti l’evasione e spunta lo scudo. Redigi atti per il pluralismo televisivo e devi tacere quando il tuo leader in campagna elettorale esegue cinque monologhi in cinque telegiornali diversi nel giro di poche ore. O, peggio, lo devi giustificare, dopo averlo trovato normale. Ti adoperi per la missione in Libia e sei costretto a ripetere da settimane che «ha le ore contate», fingere che una guerra civile abbia una data di scadenza – sempre per colpa del Bossi di turno. Volevi tagliare le province? Adessonon lo vuoi più. Volevi il nucleare? Scordatelo.

Poi sei costretto a ripetere da 17 anni le stesse cose: e i magistrati metastasi, e la riforma della giustizia, e meno tasse per tutti, e meno clandestini, immigrati, cinesi, arabi, musulmani, moschee, froci (anzi, femminielli), atei. Meno diversi, più uguali. Alla nostra tradizione celtico-cristiana. Al nostro Cristo con l’ampolla e il «sacro prato». Al nostro crocifisso inchiodato a due passi dal sole delle Alpi. Ma sempre, e comunque, nel nome della «rivoluzione liberale». Sì, anche questo lo devi ripetere per 17 anni.

Infine, il «clima d’odio». Te lo insegnano al mattino, ogni volta che lui, il leader carismatico senza più carisma, si sveglia coi sondaggi storti. Uno spintone al mercato? Colpa dell’amico dei terroristi, dei gay, dei drogati, dei fondamentalisti e dei comunisti. Ti contestano? Identifica e commissiona un paio di editoriali sul fatto che questa «non è più una campagna elettorale», ma una bolgia dantesca. Un’indecenza. Un sopruso che spettina le acconciature delle nobildonne e spande il brandy dei nobiluomini col tesserino. Quello «liberale», sia chiaro. Ti fischiano? Sono dei terroristi. Dai del terrorista? È il «partito dell’amore».

Già, dura la vita del povero ministro, coordinatore, sottosegretario o semplice quadro del Pdl o della Lega. Va bene ripetere bugie a comando. Ma potessero almeno evitare di metterci la faccia. Rilasciarle così, clandestinamente. Mandandole anonime nelle redazioni: «Ministro del Pdl», «Dirigente della Lega», «Responsabile dei Responsabili». Invece ancora le firmano. A pensarli tra vent’anni, a rispondere alle domande dei nipotini a Natale («Nonno, che facevi per campare?»), quasi suscitano un moto di compassione. Non tanto per cosa dovranno inventarsi (su quello sono bravissimi, si sono esercitati una vita), ma per il fatto che loro, i nipotini, lo troveranno su Internet.