Alla fine blocco è stato. In Danimarca, il sindacato degli insegnanti e l’Associazione dei comuni non hanno trovato un accordo sulla riforma della scuola. E così circa 60.000 insegnanti sono rimasti senza stipendio e fuori dalle aule. Martedì scorso in Danimarca sono terminate le vacanze di Pasqua ma in classe non ci è tornato quasi nessuno. Alcuni istituti sono completamente chiusi, altri vanno avanti a scartamento ridotto. Una situazione che, calcola il quotidiano Politiken, colpisce 875.000 studenti. I tentativi di scongiurare il blocco si sono rivelati inutili ma, in effetti, anche poco convincenti. Insegnanti e datori di lavoro si sono guardati a lungo, entrambi aspettando che a fare la prima mossa fosse la controparte.
[ad]Ma siccome nessuno ha cambiato idea, passi in avanti non se ne sono fatti. I comuni (dai quali dipendono gli insegnanti) restano convinti della bontà del progetto di poter decidere i tempi di lavoro dei docenti; i sindacati pensano che si tratti solo di un modo per risparmiare denaro. Ed è stallo totale. Quanto durerà? Difficile dirlo. Da più parti si invoca un intervento diretto del governo ma per ora la politica frena. La premier laburista Thorning-Schmidt martedì scorso è stata molto chiara: “Sarebbe sbagliato iniziare a parlare di intervento del governo. Dobbiamo lasciare che la cosa faccia il suo corso. Blocchi e scioperi vengono utilizzati come strumenti nei conflitti sociali in Danimarca. E così che funziona il nostro modello. Naturalmente spero che venga trovata presto una soluzione che sia di beneficio per tutti”. Appunto: una soluzione al più presto. Perché ciò che sta accadendo nel piccolo paese scandinavo rappresenta un danno per la scuola, per i genitori, per gli studenti ma anche per il governo, che si ritrova tra capo e collo un conflitto sociale aspro e di difficilissima soluzione.
Tensioni in questi giorni se ne sono viste pure nel governo finlandese. A Helsinki lo scontro si avvita sulla manovra economica annunciata qualche giorno fa dall’esecutivo che in sostanza aumenta alcune tasse (alcolici, tabacco, elettricità) e introduce sgravi fiscali per le aziende. Non tutti sono d’accordo. La prima a esprimere perplessità è stata l’Alleanza di Sinistra, che fa parte del governo: se non verrà rimesso in discussione il progetto, l’Alleanza di Sinistra ha annunciato che potrebbe decidere di sfilarsi. Per ora sembra solo una minaccia poco realistica, ma c’è davvero un nervo scoperto all’interno della maggioranza. A Helsinki le linee di politica economica non convincono tutti, e difatti qualche malumore si rintraccia pure nel partito laburista, seconda forza politica del governo: la stessa Jutta Urpilainen, ministro delle Finanze ma anche leader dei laburisti, si è detta convinta che qualche correttivo vada fatto. I sondaggi di questi giorni potrebbero contribuire a complicare il dialogo tra le forze politiche. Il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen scende per la prima volta sotto il 20% e i socialdemocratici si fermano al 18%. In crescita sono invece i due partiti di opposizione: i Veri Finlandesi al 18,4% e il Partito di Centro al 18,3%.
I sondaggi pesano molto di più in Islanda, dove a fine aprile sapremo chi guiderà il paese nei prossimi anni. Il centrodestra resta saldamente avanti ma a cambiare è l’ordine dei fattori. Il Partito Progressista infatti ha superato il Partito dell’indipendenza che nelle ultime settimane sta perdendo colpi. Male i partiti che compongono l’attuale governo rossoverde, avviato verso una sonora sconfitta.
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Svezia e Norvegia hanno passato una Pasqua senza turbolenze politiche. A Oslo i sondaggi continuano a ripetere che le elezioni del prossimo 9 settembre le vincerà Erna Solberg e il suo partito della Destra. In Svezia l’appuntamento elettorale è ancora lontano (si vota nel 2014) ma Stefan Löfven, leader dei socialdemocratici oggi all’opposizione, sembra avere gli occhi fissi sull’obiettivo. Nel corso di una lunga intervista rilasciata venerdì all’Expressen, Löfven ha affrontato tanti temi: dagli obiettivi concreti (scuola, piena occupazione) alle turbolenze interne (l’ala più a sinistra del suo partito lo incolpa di voler tirare verso il centro). Ma soprattutto Stefan Löfven ha parlato di tasse: “Alle elezioni del 2014, il nostro messaggio deve essere chiaro: non ci sarà alcun aumento delle imposte con un governo socialdemocratico”. Segno che, ovunque, è sulla politica fiscale che si vincono e si perdono le elezioni.
[ad]Ma prima di arrivare alle urne ci sono altre tappe da superare. Martedì si è aperto infatti il congresso nazionale dei laburisti e Löfven dovrà sciogliere più di un nodo: nel partito, ad esempio, ci sono idee diverse su come combattere la disoccupazione giovanile, ma anche sui nomi per il comitato esecutivo. Per Stefan Löfven, alla guida dei suoi dal gennaio dell’anno scorso, quello apertosi due giorni fa a Göteborg è il primo vero congresso che si trova ad affrontare. Nel discorso d’apertura, Löfven ha dichiarato che se i laburisti vinceranno le prossime elezioni entro il 2020 la Svezia avrà il tasso di disoccupazione più basso d’Europa. Oggi la percentuale dei senza lavoro è 8,5%. Per raggiungere quell’ambiziosissimo traguardo c’è dunque tanta strada da fare. Ma prima bisogna vincere le elezioni.