La vittoria di Ignazio Marino. Ieri, Domenica 7 Aprile, per la prima volta i cittadini romani hanno potuto scegliere il proprio candidato sindaco per lo schieramento di centrosinistra. Candidato che sfiderà il sindaco Gianni Alemanno il 26 e 27 maggio.
[ad]Una netta inversione ad U da parte del Partito Democratico e del centrosinistra che, dopo la scelta di puntare su Rutelli alle comunali 2008, ha deciso di far scegliere agli stessi elettori il proprio candidato.
Sei candidati al nastro di partenza: il senatore Ignazio Marino, il capodelegazione del Pd al Parlamento Europeo David Sassoli, l’ex ministro Paolo Gentiloni, la consigliera comunale Gemma Azuni, l’ex assessore provinciale Patrizia Prestipino e il rappresentante dei socialisti Mattia Di Tommaso.
Un numero elevato di candidati a causa di un apparente alto livello di contendibilità della competizione. Per cinque anni infatti a Roma era stato considerato Nicola Zingaretti il candidato in pectore in grado di sconfiggere Alemanno. Le dimissioni anticipate di Renata Polverini però, e le conseguente elezioni regionali anticipate, hanno portato a “liberare la casella del Campidoglio” rendendo incerto il destino del centrosinistra in questa competizione.
L’affluenza: la prima vera incognita di queste primarie era il tasso d’affluenza. Pur trattandosi delle prime primarie della storia per il sindaco di Roma le stime da parte del Pd erano tutte al ribasso. A pesare la situazione politica nazionale quanto mai di stallo e incapace di dare certezze agli elettori. Ma secondo alcuni opinionisti anche il fatto che nessun candidato “scaldasse i cuori”. Proprio per l’assenza di un vero e proprio “fuoriclasse” in grado di apparire da subito come favorito del resto si è registrato un proliferare di candidature fino ad arrivare fino ad otto candidati a sindaco.
C’è da dire però che l’effetto novità rappresentato dalle primarie romane, e la consueta voglia dei cittadini italiani di partecipare alle elezioni in maniera più massiccia rispetto ad altri cittadini europei, ha portato a superare la quota 100.000 votanti considerata minima da parte dei dirigenti del Partito Democratico laziali.
I candidati favoriti: in secondo luogo ci si chiedeva quale candidato avrebbe avuto la meglio. Gli unici con delle chance di vittoria sembravano tre: Sassoli, Marino e Gentiloni. Col tempo però lo schema ha assunto dei connotati bipolari con Gentiloni relegato nella parte di “terzo incomodo” nel bel mezzo dello scontro Marino-Sassoli. Alla vigilia del voto era evidente che alle 20 della domenica sarebbe uscito fuori un nome tra Marino e Sassoli.
La sorpresa della vittoria netta – Una rivincita del voto d’opinione: la vera sorpresa di queste primarie romane dunque non è stata tanto la vittoria di Marino. Bensì la sua netta affermazione. Si temeva nelle settimane precedenti il rischio balcanizzazione e lo spauracchio di un candidato vincente con meno del 25% dei voti. Una soglia troppo bassa per dare forza politica e legittimità a tutto il candidato della coalizione.
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La vittoria di Marino invece assegna al chirurgo un mandato totale nel rappresentare il centrosinistra nella competizione cittadina.
[ad]Al tempo stesso, nonostante le polemiche legate ad un presunto abuso del voto agli immigrati, la vittoria di Ignazio Marino è l’ulteriore prova della forza del voto d’opinione in una realtà come quella romana.
Nonostante la sua candidatura sia stata l’ultima ad uscire allo scoperto (un mese prima delle elezioni primarie, e quindi senza troppa campagna elettorale alle spalle né programmi eccessivamente dettagliati sui problemi della città) la candidatura Marino è stata subito concepita come “affidabile” agli occhi dei cittadini romani.
Nonostante molti considerassero Sassoli e Gentiloni in grado di avere più chance di vittoria (e in grado di allargare la coalizione al centro, in primis per un’asse con l’outsider Alfio Marchini) la netta affermazione di Ignazio Marino non riduce il tasso di competitività della gara del 26 e 27 maggio.
Emersa come una candidatura molto “di sinistra” (Marino ha ottenuto l’endorsment di Sel e di Rivoluzione Civile) si temeva che per una città non a subcultura rossa come Roma questa candidatura non potesse ottenere il consenso dell’elettorato moderato o vicino alle istanze cattoliche.
Questo successo inequivocabile e dati elettori del passato (in primis la netta vittoria a Roma di Emma Bonino nelle regionali 2010 con oltre il 54% dei voti) ci mostrano un quadro romano che invece molto spesso tende ad andare in controtendenza rispetto al dato regionale nel suo complesso.
E quindi in grado di prospettarci una corsa verso il Campidoglio che, parafrasando quel vecchio film di Godard, sarà tutta da giocare “Fino all’Ultimo Respiro”.