“Un giorno devi andare” di Giorgio Diritti
“Un giorno devi andare” è il titolo dell’ultimo film di Giorgio Diritti, interpretato da Jasmine Trinca. Il racconto di un viaggio alla ricerca del senso della vita, che ci sfugge di fronte ad eventi incontrollabili, sui quali gli uomini non possono nulla.
[ad]Il desiderio di maternità castrato da crudeli leggi biologiche, insieme alla certezza svanita di una vita fino al giorno prima comune e prevedibile, apre nell’esistenza della giovane protagonista, Augusta, uno squarcio profondo e doloroso, che le fa mettere in discussione ogni cosa e la spinge a cercare una risposta lontano dal mondo occidentale, fatto di benessere e certezze materiali, di routine quotidiane consolidate e sicure.
La spinge lontano, fino in Amazzonia, il luogo che simbolicamente rappresenta la natura nella sua prorompente pienezza, il senso delle origini, il segno incontaminato e tangibile di ciò da cui, in fondo, proveniamo. A bordo dell’imbarcazione Itinerante, che solca gli specchi d’acqua della foresta, Augusta affida i suoi pensieri alle pagine del suo diario: Io sono scappata dal dolore e ovunque provi a guardare è li, è dentro di me. Credo di non essere qui per dimostrare a me stessa che so vincere la paura, sono qui per scoprire altri valori.
Portandosi dietro il vuoto enorme lasciato dalla perdita di un figlio e dalla consapevolezza di non poterne più avere, Augusta affianca suor Franca, amica della madre, nella sua missione di evangelizzare gli indios, raggiungendoli nei loro villaggi e diffondendo i sacramenti e la parola di Dio. Ma le risposte che cerca tardano ad arrivare e Augusta a un certo punto sente che la sua ricerca deve proseguire in un’altra direzione: Ora voglio essere terra, terra con la terra. E perché la terra dia frutti, devo dimenticarmi di Dio.
Da sola si reca a Manaus, dove gruppi di palafitte variopinte si stagliano all’orizzonte, indifferenti allo sguardo di chi osserva. Affitta una camera in una favela e comincia a condividere con la gente del posto una vita quotidiana fatta di difficoltà, ma anche di gioie semplici: giocare a pallone nel campo pieno di buche ed erbacce, ballare la sera sulle note di melodie locali, suonare i piatti del padre inseguita da una una scia schiamazzante di bambini eccitati. Augusta scopre il senso della comunità, ancora vivissimo in quei luoghi, pure minacciati dai tentativi di intrusione di poteri lontani, cerca per sé e per gli altri uno sbocco lavorativo che possa offrire un’alternativa alla miseria.
Un giorno senti che devi cambiare vita, che non puoi più stare dove stavi, che devi andare, devi essere, devi sperare, devi sentire che la tua vita ha un senso ed è tua, non soltanto il susseguirsi di cose, di riti, di regole che sono di altri, di sogni e desideri di altri, di dolori di altri che diventano i tuoi.
Lo spettatore che guarda il film aspettando che giunga una risposta precisa alla ricerca di Augusta, intesa come l’evento che possa porre fine alla sua sofferenza, rimarrà deluso. La trama, puntualmente intervallata da una fotografia veramente incantevole, scorre assai lenta. Nessuna svolta repentina giunge a ristabilire la giustizia delle cose. Si assiste, invece, a piccoli gesti, sorrisi spontanei, brevi momenti di abbandono alla fiducia.
Del resto la vita ci mette continuamente alla prova, come farà ancora una volta con Augusta. Proprio laddove si era recata per superare il suo dolore, la “scomparsa” di un bambino rinnoverà in lei il senso di perdita e la costringerà ad un impatto ancora più forte, ancora più estremo, con una natura potente e violenta. In una spiaggia deserta, una volta dissipate le nuvole e tornato limpido il cielo, un nuovo, inaspettato, incontro le restituirà la forza di girare su sé stessa, disegnando cerchi nella sabbia, attaccata alle braccia di un piccolo sconosciuto.
Il regista Giorgio Diritti de L’uomo che verrà, dopo il toccante film sulla strage di Marzabotto vista attraverso gli occhi dei bambini, ne realizza uno in cui le donne, giovani e anziane, religiose e laiche, europee e sudamericane, sono al centro della narrazione. In un Trentino freddo e innevato, così come nelle terre lambite dal Rio delle Amazzoni. Come afferma lo stesso Diritti in un’intervista, la scelta dell’ambientazione in Amazzonia offre l’occasione per andare a specchiarsi con le nostre origini, per capire se ciò che l’uomo cosiddetto evoluto ha fatto è coerente con esse.