Referendum, acqua: cosa chiedono i quesiti

Pubblicato il 6 Giugno 2011 alle 09:29 Autore: Giuseppe Ceglia
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Cosa cambierebbe, se dovesse vincere il “sì” al primo quesito, rispetto alla situazione attuale? Tutto sta nelle modalità della gara d’appalto. Oggi, i comuni che vogliono mantenere la gestione pubblica dei servizi possono farlo in due casi: se riescono a dimostrare che è inutile indire la gara per motivi economici, sociali o ambientali del territorio di appartenenza (ottenendo in tal caso la delega prevista dal comma 3 dell’art. 23-bis L. n. 133/2008); se l’azienda pubblica partecipa alla gara e la vince. Nel caso in cui dovesse passare il “sì” i comuni possono affidare direttamente la gestione pubblica a un soggetto dell’amministrazione stessa (la cosiddetta gestione “in house”) senza dover indire una gara d’appalto. Questo meccanismo, fa notare Giorgio Santilli de Il Sole 24 Ore, potrebbe favorire una politica clientelare che in passato ha portato a casi eclatanti come la “Parentopoli” capitolina.

[ad]Infine, il capitolo più importante, quello delle tariffe e dei costi di bolletta. Se dovesse vincere il “sì” al secondo quesito, i gestori, siano essi pubblici o privati, non riceverebbero più il 7% del capitale investito, che di solito viene ammortizzato sulle bollette dei cittadini ma avrebbero comunque diritto alla «copertura integrale dei costi di investimento». Gli investimenti bancari e dei privati, a questo punto, verrebbero penalizzati e gli eventuali costi peserebbero tutti sulle spalle dei contribuenti. La cosa chiara è che i costi di gestione qualcuno li deve pur pagare. O attraverso le tariffe o attraverso la fiscalità, è sempre il cittadino a dover farsi carico delle spese. Sta a lui decidere se è meglio una bolletta dell’acqua relativamente economica (nel 2008/2009 la media nazionale era 1,21 €/m ³, decisamente più bassa di quella europea: 2,59 €/m ³) con scarsità di fondi per altri servizi come il welfare, o accettare un aumento di tariffa (e, si spera, di investimenti) che porti anche a una maggiore consapevolezza nell’uso del bene, evitando sprechi inutili.

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Il Comitato promotore del Sì vuole abrogare la norma per evitare che i privati traggano profitto dalla stessa facendo aumentare i prezzi in bolletta. Partendo dal presupposto che i privati non hanno alcun potere decisionale sulle tariffe (c’è un’Autorità pubblica creata a tal scopo) se i prezzi delle bollette dovessero crescere non dipenderebbe né dal gestore privato né da quello pubblico, ma dai costi di gestione crescenti e dalla scarsità di fondi per far fronte a un vero e proprio disastro: circa il 30% dell’acqua, 2,61 miliardi di m ³ viene dispersa ogni anno, causando un costo di 2,5 miliardi annui per i cittadini. Che siano società private o pubbliche – la storia degli ultimi anni vede gestioni virtuose e fallimentari in entrambi i casi, in numero sostanzialmente uguale secondo i dati degli economisti Boitani e Massarutto – chi gestirà l’acqua dopo il referendum è chiamato a farlo in maniera consapevole e responsabile, cercando di arginare la vergognosa dispersione idrica nazionale.