Referendum, acqua: un po’ di storia

Pubblicato il 6 Giugno 2011 alle 09:59 Autore: Francesca Petrini
acqua

[ad]Con la legge finanziaria per il 2008 (art. 3 commi 27-29 della L. 24 dicembre 2007, n. 244), la Legge Bersani non solo viene confermata per le amministrazioni regionali e locali, ma anche estesa sul piano soggettivo a tutte le amministrazioni dello Stato, ivi incluse quelle che direttamente o indirettamente gestiscono servizi pubblici locali. Tuttavia sul piano oggettivo, il divieto per le amministrazioni pubbliche di assumere nuove partecipazioni o mantenere quelle possedute conosce un’importante novità che riguarda la c.d. eccezione “funzionale”: in altre parole, il rispetto dei fini istituzionali propri dell’ente pubblico costituisce il primo limite alla costituzione o partecipazione a società per la produzione di beni o servizi; quindi l’amministrazione pubblica può assumere o mantenere la partecipazione in una società che produce un bene o servizio strettamente necessario ai fini istituzionali della stessa amministrazione.

Infine, con il Governo Berlusconi dell’attuale legislatura, la storia normativa del bene acqua si dirige velocemente verso la privatizzazione. Nel 2008, con la c.d. manovra estiva, varata con il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 (legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133) si è stabilito che le modalità ordinarie sono quelle dell’affidamento ai privati tramite gara e che, solo in via derogatoria, l’affidamento può essere fatto senza gara e verso società a totale capitale pubblico, le c.d. in house, in linea con i tre criteri Ue. La riforma del servizio idrico che, di fatto, privatizza definitivamente la gestione dell’acqua, è stata introdotta con il via libera definitivo dell’Aula della Camera al decreto legge Ronchi sugli obblighi comunitari che ne disciplina la gestione in una norma ad hoc. La legge Ronchi (l. 20 novembre 2009, n. 166) ha infatti ancor meglio realizzato l’obiettivo privatizzatore: come fu per il caso del decreto legge n. 112 del 2008, sempre con la motivazione di dover emanare “disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee”, manda in soffitta tutte le gestioni in house entro il 31 dicembre 2011 a meno che entro questa data la società che gestisce il servizio non sia per il 40% affidata a privati. La norma, in particolare, prevede due modalità per la gestione dell’acqua in via ordinaria ed un’altra in via straordinaria. Si stabilisce così che la gestione del servizio idrico debba essere affidata ad un soggetto privato scelto tramite gara ad evidenza pubblica oppure ad una società mista (pubblico/privato) nella quale il privato sia stato scelto con gara. Oppure, ed é il caso straordinario, la gestione del servizio idrico può essere affidata (“in casi eccezionali”) in via diretta, vale a dire senza gara, ad una società privata o pubblica. In tal caso, però, si deve trattare di una società in house, ossia una società su cui l’ente locale esercita un controllo molto stretto e si noti che ciò è possibile solo in“situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. Quindi la logica che sta dietro tale provvedimento pare essere quella secondo cui, poiché il privato si muove solo se intravede un profitto, nei territori definiti peculiari, dove l’acqua non è profittevole, l’affidamento può essere dato anche a società interamente pubbliche: in sostanza, il Governo è costretto a imporre la privatizzazione dei soggetti gestori poiché gli Ato dal 1994 ad oggi hanno scelto nella maggioranza dei casi gestioni pubbliche! In definitiva, non pare azzardato sostenere che il decreto Ronchi esprime una scelta politica, rafforzando due dei tre vigenti modelli: il regime privatistico tout court ed il regime misto (pubblico-privato). Al contrario, il modello dell’affidamento diretto in house viene posto come deroga ed eccezione. Si tratta di una scelta politica che più che incidere sul regime della concorrenza incide sugli assetti proprietari (pacchetti azionari e infrastrutture).

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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