Il 29 settembre 2010 (dunque ben prima dell’incidente di Fukushima e dei relativi strascichi sul piano politico) il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel corso del discorso alla Camera dei Deputati in cui chiese la fiducia del Parlamento sull’azione del Governo, rilanciò con decisione il progetto energetico nucleare in Italia, con le parole:
Significa fornire ai nostri cittadini e alle nostre imprese fonti di energia economicamente convenienti, rispettose dell’ambiente e che nel contempo riducano la pericolosa dipendenza energetica del nostro Paese; e la sola risposta, oggi, è il nucleare, una sfida che dobbiamo perseguire con convinzione e determinazione.
Il tema forse di maggior impatto tra quelli toccati dal premier è quello dell’indipendenza energetica, o meglio della riduzione di dipendenza, di cui si gioverebbe il nostro paese nel passaggio al nucleare.
[ad]L’accordo siglato il 24 febbraio 2009 tra Italia e Francia prevede, come primo step, la costruzione su suolo italiano di quattro centrali a partecipazione condivisa ENEL ed EDF a tecnologia EPR al più tardi entro il 2023. La vita media prevista per tali centrali nucleari sarebbe di 60 anni, circa il 50% in più delle centrali di seconda generazione costruite nel secolo scorso e più del doppio dell’età media delle 441 (dato settembre 2010) centrali attualmente operative nel mondo.
Veramente tali reattori potranno garantire all’Italia l’indipendenza energetica come sostenne Berlusconi, senza dover dipendere dai capricci dai signori del petrolio e del gas naturale? Veramente tale indipendenza significherà una bolletta energetica meno salata?
Riserve mondiali di uranio in miniera accertate e dedotte (2009) |
Come mostra la tabella, ricavata dal sito World Nuclear Association, l’Italia e in generale l’Unione Europea non dispongono all’interno dei propri confini di giacimenti di uranio, il combustibile nucleare utilizzato nei reattori EPR e in generale nella quasi totalità delle centrali nucleari attive e di prossima progettazione nel mondo.
La tabella riporta la quantità di uranio conosciuta e stimata suddivisa per Paese, ed estraibile in termini economicamente vantaggiosi (con le attuali tecnologie e con prezzo dell’uranio a 130 $/kg). Come si vede, rispetto al petrolio i principali paesi fornitori di uranio, in special modo Australia e Canada, sono stabili politicamente e amici o addirittura parte integrante della cosiddetta “civiltà occidentale”. Importare dall’Australia o dal Canada non è certamente la stessa cosa rispetto a importare dalla Russia o dai Paesi Arabi.
D’altra parte nel mondo del nucleare si sono venuti a creare dei veri e propri cartelli che nulla hanno da invidiare a quelli petroliferi, con 7 compagnie che nel 2009 controllano oltre l’80% delle attività estrattive (Areva, Cameco, Rio Tinto, KazAtomProm, ARMZ, BHP Billiton e Navoi) e arridittura solo 4 che raggruppano oltre l’80% degli impianti di arricchimento. La francese Areva spicca tra queste per l’appartenenza ad entrambe le categorie.
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Anche se il legame tra Italia e Francia ci consentirebbe di entrare nella galassia di Areva, che gestendo la filiera nucleare dall’estrazione al decommissioning ci permetterebbe di avere una parvenza di indipendenza, è bene esaminare il prezzo dell’uranio e analizzare domanda e offerta del materiale.
Variazioni del prezzo dell’uranio sul mercato spot in $/lb (1988 – 2010) |
Rincari dei prezzi consentirebbero l’immissione di nuovo uranio sul mercato, dal momento che le miniere oggi considerate economicamente non produttive diventerebbero vantaggiose, ma a causa degli elevati costi di estrazione difficilmente tale immissione consentirebbe di calmierarne adeguatamente il costo, costo che finirebbe nelle bollette dei cittadini.
[ad]La World Nuclear Association ha pubblicato l’andamento dell’offerta di uranio – sia come minerale puro sia come U3O8, la cosiddetta yellow cake – nel corso degli ultimi anni, comprensiva di percentuale coperta della domanda. Come si può vedere, la domanda di uranio già oggi supera abbondantemente l’offerta, e la differenza è certamente destinata ad acuirsi se i GW di potenza nucleare dovessero aumentare. In particolare, come mostra questa pagina dedicata ai reattori installati nel mondo ed aggiornata al 1 ottobre 2010, se per gli attuali 376.313 MWe attualmente prodotti da energia nucleare servono 68.646 tonnellate di uranio, se tutte le centrali definite come “in costruzione”, “pianificate” e “proposte” dovessero diventare realtà, e supponendo un adeguato turn-over dovuto alla dismissione degli impianti più vecchi, i MWe diventerebbero oltre 650.000 con un consumo di uranio intorno alle 120.000 tonnellate annue. Questo fattore gioca indubbiamente a favore di un incremento dei prezzi, dopo l’impennata del 2007 e la successiva stabilizzazione. Gli outlook della WNA mostrano inoltre come sarà difficile sostenere la domanda di uranio anche per i decenni a venire, contando anche le riserve stimate.
Outlook della domanda e dell’offerta di uranio |
A fronte di una domanda di uranio già oggi superiore all’offerta e in ogni caso destinata ad aumentare vi è un imponente vincolo all’offerta. Le miniere di uranio non sono tutte dello stesso tipo: se alcuni dettagli possono essere ovvie (miniere a cielo aperto o in gallerie, rocciose o sabbiose, eccetera), uno in particolare merita un approfondimento.
I giacimenti di uranio hanno densità variabili, secondo quanto riporta sempre il sito World Nuclear Association, tra il 20% delle più ricche miniere canadesi e lo 0,0000003% del minerale disciolto nell’acqua di mare.
Ricchezza e concentrazione di minerale dei principali giacimenti di uranio |
Secondo quanto riportato dagli scienziati G. M. Mudd e M. Diesendorf in Sustainability Aspects of Uranium Mining: Toward Accurate Accounting? (2007) la maggior parte delle miniere di uranio note, come si vede nel grafico, è contemporaneamente poco ricca e poco densa di materiale.
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La concentrazione di un giacimento è fondamentale per il calcolo dello yeld, il grado di estraibilità, ovvero la quantità di minerale che realmente si riesce ad estrarre da un giacimento.
Con l’attuale tecnologia estrattiva lo yeld è ricavabile empiricamente, per valori di G maggiori a 0,05%, come
Per valori inferiori alla soglia il risultato è da intendere come un limite superiore. La formula si discosta dai risultati teorici previsti, ed è il risultato – considerato addirittura ottimistico dagli autori – del lavoro realizzato da Storm van Leeuwen e Smith, un’équipe indipendente i cui risultati sono stati presi a bandiera da molti anti-nuclearisti per il mondo.
[ad]Ad esempio, in una miniera con concentrazione g = 0,1% un kg di uranio è contenuto in una tonnellata di matrice. Lo yeld calcolato secondo la formula è 0,9077, il che implica che solo il 91% dell’uranio disponibile riesce ad essere effettivamente estratto. Per ricavare un kg di uranio, pertanto, diventa necessario estrarre 1,1 tonnellate di matrice.
Le altre attività – trattamento chimico, arricchimento – che accompagnano l’uranio fino al suo ingresso nel reattore nucleare hanno un bilancio energetico costante e noto, così come è nota l’energia ricavabile dall’uranio e l’efficienza di conversione in energia elettrica (che per gli EPR si aggira sul 37%). Pertanto il bilancio energetico dell’energia nucleare si può considerare come una funzione della semplice concentrazione di uranio nella miniera, e lo studio di Storm van Leeuwen e Smith pone in circa 0,02% la soglia di concentrazione al di sotto della quale diventa energeticamente sconveniente, con la tecnologia attuale, estrarre uranio, per il semplice fatto che la centrale nucleare si troverebbe lavorare con un bilancio energetico complessivo negativo.
Questo vincolo, che si aggiunge a quello della convenienza economica e a differenza di questo è invalicabile, rende di fatto non sfruttabili le riserve di uranio disciolte nell’acqua di mare o raggruppate sotto il generico “graniti”, “rocce sedimentarie” e “crosta terrestre”, limitando quindi l’estrazione dell’uranio alle miniere vere e proprie, escludendo addirittura quelle con concentrazione di materiale più bassa. Sebbene le stime della World Nuclear Association definiscano in oltre 25 milioni di tonnellate le riserve di uranio contenute in tali matrici, esse sono al momento economicamente ed energeticamente inaccessibili.
Poiché i reattori che verranno costruiti nel corso del presente e del prossimo decennio nel mondo sono tecnologicamente molto simili – per quanto riguarda la parte di effettiva produzione energetica – a quelli attualmente in uso, è possibile stimare una durata delle riserve sfruttabili di uranio da 40 (ipotizzando un consumo medio di 140.000 tonnellate annue) a 55 (con un consumo medio di 100.000 tonnellate annue) anni a partire dal 2009, a seconda di quanti GW di potenza nuclare saranno via via installati nel mondo e in ogni caso tenendo conto delle riserve sia accertate sia dedotte. Nel caso di consumi invariati al livello del 2009 le scorte di uranio durerebbero invece 80 anni.
In sostanza le quattro centrali nucleari italiane, così come tutte quelle di III generazione che verranno aperte nel mondo nei prossimi decenni avranno combustibile a sufficienza, in un’ipotesi ragionevole, solo per una frazione del ciclo di vita per cui sono state pensate, costruite e soprattutto finanziate.
Salvo clamorose scoperte di giacimenti ricchi e facili da sfruttare, che comunque rinvierebbero solo il problema senza risolverlo, per uscire da questo quadro a tinte fosche non è possibile scommettere su miglioramenti della resa energetica delle centrali, a causa del fatto che tali evoluzioni non investirebbero le centrali attualmente in costruzione e quelle che lo saranno nei prossimi anni; occorre quindi necessariamente puntare ad affinamenti delle tecniche minerarie dell’uranio, che consentano di estrarre il minerale dalla sua matrice con minori dispendi energetici e possibilmente a costi contenuti.
Il Governo Italiano ha scelto quindi, con la legge Scajola e il successivo accordo commerciale con la Francia, di puntare su una fonte di approvvigionamento che, prescindendo da ogni altro fattore ambientale, sociale ed economico di fatto non garantirebbe l’indipendenza energetica al nostro Paese, menttendoci invece nelle mani delle poche multinazionali che controllano l’estrazione e la raffinazione dell’uranio, nonché dell’unica azienda al mondo in grado di costruire ivessel dei reattori, la Japan Steel Works (al 2008).
Una fonte energetica della cui materia prima non si può nemmeno essere certi in termini di esistenza ed utilizzo, dal momento che solo il computo delle risorse dedotte e la presupposizione di notevoli e non scontati progressi tecnologici in campo minerario consentirebbero l’approvvigionamento di materiale per tutta la durata del ciclo di vita delle centrali. Più che una fonte energetica, quindi, una scommessa il cui conto pende come una spada di Damocle sulla bolletta che i cittadini italiani pagheranno nei prossimi decenni.