“Non c’è molta politica in questi giorni perchè tutti aspettano che il primo ministro prema il bottone delle elezioni. Il risultato è che non c’è niente di nuovo e la scena è dominata da uno scandalo dopo l’altro. Socialdemocratici e Partito Popolare Socialista non hanno davvero bisogno di fare molto: il governo sta facendo più che abbastanza per rovinarsi da solo”. Sono parole dell’ex ministro convervatore Hans Engell, oggi commentatore politico. Eravamo a fine febbraio eppure continuano a fotografare bene la situazione che la Danimarca sta vivendo da qualche mese perché riassumono in poche righe le due cose che dominano lo scenario politico: scandali ed elezioni.
[ad]Il governo di centro-destra guidato da Lars Løkke Rasmussen non se la passa bene. Una giornata simbolo è stata quella dell’8 marzo: in una sola mattinata sono saltati due ministri. Tina Nedegaard che guidava il dicastero della pubblica istruzione ha inaspettatamente lasciato per motivi personali. Più gravi le dimissioni di Birthe Rønn Hornbech, ministro per l’immigrazione, dimissionata dal premier Rasmussen. La Hornbech paga lo scandalo della cittadinanza negata ai giovani palestinesi nati in Danimarca, una vicenda che alcuni hanno paragonato addirittura al Tamil-gate. In realtà le dimensioni sono molto ridotte ma comunque di scandalo si tratta: una commissione d’inchiesta è stata aperta su pressione dell’opposizione e verrà fatta luce anche sulle responsabilità del premier.
Ministri che se ne vanno, scandali e sondaggi negativi. Il governo Rasmussen naviga in queste acque da mesi. La guerra in Libia ha dato un po’ di respiro. La Danimarca è stata tra i primi paesi a chiedere un intervento e tra i primi a inviare i propri caccia. Il premier ha potuto ridare lustro alla sua figura, appoggiando il sentimento popolare che voleva un intervento a sostegno degli insorti, e approfittando di una politica che si è schierata compatta a favore di una soluzione militare. Ma è stata una parentesi. Gli affari interni si sono ripresi i titoli e la Danimarca è tornata in quella palude di cui parlava Engell. Uno scossone l’ha dato a maggio il pacchetto di riforme economiche intorno alle quali i partiti hanno discusso a lungo. In particolare la proposta sui pensionamenti ha infiammato il dibattito. I socialdemocratici hanno abbandonato subito il tavolo, e il governo ha concluso l’accordo con le forze di centro-destra, dovendo concedere qualcosa. Nelle ore immediatamente successive, alcuni giornali avevano scritto che la decisione dei socialdemocratici aveva provocato un calo di consenso nei loro confronti, e che quindi il premier Rasmussen avrebbe potuto approfittarne per andare a votare in fretta e furia. Nulla di tutto questo: qualche giorno di dubbi, poi lo stesso Rasmussen ha fatto chiarezza: “Non sto ancora pensando alle elezioni, sto pensando a governare questo paese”.
Ma a parte i sussulti vissuti nella prima metà di maggio, la dialettica politica langue e langue in un contesto dove la disoccupazione sta diminuendo ma i dati sul Pil raccontano di un paese in recessione. I danesi hanno dato prova di voler girare pagina in fretta, andando a votare. Già a fine febbraio un sondaggio del quotidiano Politiken mostrava che la maggior parte della popolazione voleva le urne in primavera, senza aspettare l’autunno. Rasmussen però, giocando sul potere del primo ministro di poter scegliere quando indire le elezioni, ha deciso di aspettare tempi migliori. È stato inutile, e a questo punto oltre novembre non potrà andare.
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Il fatto è che si sta probabilmente chiudendo una stagione politica. Lars Løkke Rasmussen è diventato primo ministro nell’aprile del 2009, prendendo il posto di Anders Fogh Rasmussen andato a ricoprire la carica di Segretario della Nato dopo aver guidato un governo conservatore dal 2001. Dieci anni di centro-destra: e tutto lascia supporre che il prossimo esecutivo sarà di un altro colore. I sondaggi in questo senso sono chiari e da mesi raccontano sempre la stessa storia: i partiti di sinistra sono in vantaggio. C’è da recuperare, e Rasmussen ha provato a farlo con i nuovi ministri, cercando di dare un’impronta più marcata e carismatica alla sua azione di governo. Søren Pind, che ha preso il dicastero dell’Immigrazione, è l’esempio più limpido: le sue dichiarazioni forti sugli stranieri, sul pericolo insito nel multiculturalismo e sulla necessità di stringere ancora le leggi che regolano i flussi migratori rappresentano un cambio che di fatto ha aperto una lunga campagna elettorale. Ma non si tratta solo di comunicazione, c’è anche sostanza politica. Pind ha buoni rapporti con il Partito Popolare Danese, che rappresenta un tassello fondamentale nello schieramento di centro-destra: pur non facendo parte del governo, assicura a Rasmussen un appoggio esterno fondamentale. Da una decina di anni è l’ispiratore delle severe politiche per l’immigrazione danesi, e spesso baratta con il governo il proprio appoggio in cambio di ulteriori strette sulle normative.
[ad]A fine maggio, i sondaggi davano un consistente vantaggio al blocco di sinistra. Helle Thorning-Schmidt, leader del partito socialdemocratico, sarà probabilmente il prossimo primo ministro di Danimarca, primo premier donna nella storia del paese. La sinistra attualmente all’opposizione è accreditata del 53,2% dei consensi. L’attuale governo di centro-destra si fermerebbe al 46,8%. Un vantaggio più che considerevole. Difficile che durante l’estate lo scenario possa cambiare così tanto da consentire al premier di ribaltare i risultati, tanto che anche Lars Barfoed, leader del Partito Popolare Conservatore (oggi alleato del governo) ha aperto all’ipotesi di una cooperazione con i socialdemocratici, se dovessero essere loro a vincere le elezioni. Cosa molto probabile. Rasmussen lo sa, tanto che secondo il tabloid B.T. il premier starebbe elaborando una sorta di ‘piano B’ nel caso alle elezioni non dovesse essere riconfermato. Scrive il B.T. che Rasmussen potrebbe tentare la strada di un governo di coalizione, che metta insieme il suo partito, i Conservatori, i Socialdemocratici e la Sinistra Radicale di Margrethe Vestager, la quale sarebbe proposta come primo ministro. Ma Rasmussen stesso si è affrettato a smentire: “Non mi occupo di piani d’emergenza. Mi occupo di piani che salvaguardino l’economia danese”. Altrettanto chiara la protagonista dell’indiscrezione, la Vestager: “Rasmussen deve essere davvero convinto che perderà. Noi avremo un nuovo primo ministro, e il suo nome è Helle Thorning-Schmidt”.