Crescita 2.0, start up italiane ai nastri di partenza

Start up, basta la parola, potremmo dire prendendo in prestito un vecchio adagio. Non è infatti necessario essere laureati in inglese per capire, anche intuitivamente, a cosa ci riferiamo con questa espressione. Parliamo di imprese che presentano un intrinseco tasso d’innovazione. Figlie naturali del contesto odierno, in cui il web ed in particolare i media 2.0 rivestono un ruolo decisivo per veicolare iniziative capaci di “fare rete”,  lo scorso ottobre hanno ricevuto una sorta di “battesimo” con il  Decreto Crescita 2.0 (1) varato dal Ministero per lo Sviluppo Economico e convertito in legge a dicembre. Questo ha specificato, per la prima volta, le caratteristiche necessarie a definire un’impresa start up, procedendo inoltre a disciplinarne i principali aspetti, dalla costituzione alla, eventuale, chiusura.

[ad]Si definisce start up un’ azienda  la cui “anzianità” non supera i quattro anni e la cui maggioranza del capitale sociale e dei voti nell’assemblea ordinaria è controllata da persone fisiche. L’attività svolta, in forma esclusiva, deve riguardare lo sviluppo e la diffusione di prodotti o servizi innovativi ad alto tasso tecnologico; non deve peraltro distribuire – o aver distribuito – utili. Per essere ricompresa all’interno della categoria, inoltre, l’azienda deve soddisfare almeno uno di questi requisiti: destinare alla ricerca ed allo sviluppo una quota pari o superiore al 30 per cento del maggiore tra il costo e il valore della produzione, avere una forza lavoro composta per almeno un terzo da personale altamente qualificato, detenere una privativa industriale (“protezione accordata dalla legge agli autori di nuove invenzioni o scoperte industriali”, fonte Treccani.it ) connessa all’attività svolta.

Per quanto riguarda la raccolta di capitali, le start up possono ricorrere al crowdfunding (procedura di reperimento fondi attraverso appositi siti Internet), su cui è chiamata a vigilare la Consob. Inoltre, dal 2013 al 2015 sarà possibile, per le persone fisiche e per quelle giuridiche, detrarre o dedurre dal proprio imponibile una parte delle somme impiegate in start up.

Il varo di questo provvedimento legislativo è stato accompagnato dalla costituzione di un’apposita sezione all’interno del Registro Imprese destinata  alle start up in fase di creazione o attive da non più di quattro anni. All’8 aprile scorso erano 544 le società iscritte (2) (Fonte InfoCamere)

La casa editrice barese LiberAria (3) rappresenta una delle prime esperienze in materia di start up: è nata infatti cinque anni fa come associazione culturale, (finanziata attraverso il bando della  Regione Puglia “Principi Attivi”), ed in una prima fase si è occupata di editoria on line e print on demand. “Per un po’ sono andata avanti con l’associazione, poi ho deciso di provare a farne un lavoro: tanto ero una precaria della scuola e della ricerca”, spiega Giorgia Antonelli (editrice di LiberAria): così, nel novembre 2011, LiberAria è diventata srl. “Siamo partiti con i Singolari, ovvero racconti che si possono acquistare in rete come si fa con le canzoni, pagandoli 49 centesimi”. Oggi LiberAria pubblica altre quattro collane, oltre i Singolari: Meduse (narrativa italiana), Metronomi (saggistica contemporanea), Phileas Fogg (narrativa straniera) e Studi Meridionali Saggi e Classici (saggistica universitaria).

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“LiberAria Editrice pubblica libri che desidera leggere […] è contro l’editoria a pagamento e non chiede contributi economici per la pubblicazione, per l’editing e per la promozione delle opere edite”, così si racconta sul sito. Una casa editrice affamata di opere con “un forte senso della meraviglia, la capacità di sorprendere ed aprire scenari inediti, oltre alla capacità di spingere i lettori ad indagare la realtà che li circonda”, precisa Mattia Garofalo (rights manager e responsabile della collana di narrativa straniera di LiberAria).

[ad]“Come sosteneva Gustave Flaubert ‘Scrivere è un modo di vivere’. Noi alziamo la posta e lavoriamo perché anche leggere diventi un modo di vivere”, scrive LiberAria sul suo sito. L’auspicio è che questa prima fase di definizione e riconoscimento delle start up attraverso lo strumento legislativo, pur perfettibile a detta di alcuni operatori del settore, prepari il terreno non solo per un nuovo modo di fare impresa, all’insegna dell’innovazione e della professionalizzazione, ma anche per un nuovo modo di essere – e agire – in quanto comunità

 

 

(1)       http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php?option=com_content&view=article&viewType=1&idarea1=593&idarea2=0&idarea3=0&idarea4=0&andor=AND&sectionid=0&andorcat=AND&partebassaType=0&idareaCalendario1=0&MvediT=1&showMenu=1&showCat=1&showArchiveNewsBotton=0&idmenu=2263&id=2024649

 

 

(2)       http://startup.registroimprese.it/report/startup.pdf

(3)       http://www.liberaria.it/