Internet per la politica un mezzo e non un fine
Internet e la politica. Sembrano passati secoli – eppure sono mesi – da quando ci si interrogava sul ruolo che la Rete potesse avere per politica, durante le campagne elettorali e nella vita quotidiana delle istituzioni: articoli, convegni, servizi tutt’al più si riferivano alle iniziative di Barack Obama o citavano distrattamente i primi timidi tentativi degli innovatori italiani.
[ad]È bastata una tornata elettorale ed oggi siamo già al day after. Le consultazioni trasmesse via streaming tra Pierluigi Bersani e i capigruppo del Movimento 5 Stelle, la non semplice gestione delle “Quirinarie” online hanno già portato a guardare alla Rete come una bolla di sapone, come uno strumento di moda, ma in fin dei conti non serio, che deve, al momento delle decisioni, lasciare il posto alle forme tradizionali di confronto: ai caminetti o alle stanze dei bottoni.
Geoff Mulgan, in un incontro a Milano, ha recentemente messo in guardia dalla facile retorica del crowdsourcing e i più avvertiti fra i politici, come Fabrizio Barca, riconoscono in pieno il ruolo della Rete come leva di ascolto e confronto, che non sostituisce, ma supporta e verifica la bontà delle altre fasi del processo democratico.
In realtà, i media digitali – per la politica ed anche per il business – non sono un porto sicuro a cui attraccare, ma una barca, spesso insicura, su cui salpare in mare aperto. Internet è un mezzo di comunicazione, ed ancor più di partecipazione, complesso e legato a moltissime variabili culturali e tecnologiche, che richiede di essere concepito come un mezzo e non come un fine. Il rischio è chiudersi alle sue opportunità o farsi travolgere dalle criticità che esso amplifica.
Recentemente Giovanni Floris ha affermato che il mondo contemporaneo è in un vortice di tale cambiamento che ciò che conta in un leader non è dato dai suoi programmi che non potranno rispondere alle domande sempre mutevoli che emergeranno nè dalla possibilità di controllarlo costantemente in streaming, ma dai valori e dalla fiducia che saprà ottenere per la sua storia e la sua visione.
Se imparareremo, nelle nostre vite e nella politica, a pensare non a Internet, ma alla politica e al Paese, impareremo a volere più bene. A Internet e alla nostra democrazia.