Referendum: (il)legittimo impedimento
Il quesito referendario sul legittimo impedimento non si riferisce al testo originario della legge, la n. 51 del 7 aprile 2010, ma a quello che risulta dopo l’intervento più che significativo della Corte costituzionale con la sentenza n. 23 del 2011 (si vedano a riguardo i nostri articoli qui e qui ). La legge era stata impostata partendo da un istituto già conosciuto dal nostro codice di procedura penale, all’articolo 420-ter: il legittimo impedimento dell’imputato come causa di rinvio dell’udienza nel processo penale, un istituto previsto nel nostro ordinamento processuale a tutela del diritto di difesa. L’esigenza di permettere l’esercizio di funzioni pubbliche da parte del componente di un organo costituzionale – in particolare le assemblee parlamentari – o del titolare di una carica pubblica che sia imputato in un processo, consentendo il regolare e integro svolgimento delle medesime funzioni, è già pacificamente considerata causa di possibile legittimo impedimento che dà luogo, se riconosciuta dal giudice, al rinvio dell’udienza. In tal senso è la dominante prassi giudiziaria, nonché la giurisprudenza dei giudici comuni e quella della Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 225 del 2001.
[ad]Trattandosi non di circostanze che si presentano improvvisamente, in modo imprevedibile e con carattere di forza maggiore indiscutibile, ma di circostanze prevedibili, che si ripetono nel tempo e che consentono margini di apprezzamento del carattere più o meno stringente della necessità, il principio base da seguire è il bilanciamento fra due contrapposte esigenze: da un lato l’interesse all’effettivo esercizio della funzione giurisdizionale attraverso la celebrazione del processo, dall’altro l’interesse al continuativo e regolare svolgimento delle funzioni pubbliche, specie se facenti capo ad organi costituzionali. Pertanto, tale bilanciamento non può che essere attuato in concreto, cioè tenendo conto delle circostanze concrete riguardanti sia il tipo, il modo e il contenuto preciso della funzione pubblica interessata, sia la situazione del singolo processo penale interessato. Ciò comporta che, in definitiva, solo il giudice del caso può compiere le valutazioni decisive a proposito del carattere dell’impedimento e, quindi, della necessità di rinviare l’udienza: valutazioni non libere ma vincolate al tener conto dei dati oggettivi della situazione.
Una disciplina legislativa ulteriore del legittimo impedimento, derivante dalla necessità di esercizio di funzioni pubbliche, è in linea generale ammissibile, purché fondata su criteri di ragionevolezza. Una disciplina che stabilisca a priori e in modo vincolante che la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituisce sempre legittimo impedimento per tutta la durata della carica pubblica o per lunghi predeterminati periodi di tempo, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto, si traduce nella statuizione di una vera e propria prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche interessate, diretta a proteggerne lo status o la funzione. In questo caso, non si tratterebbe più di una legittima disciplina del processo, rimessa al legislatore ordinario, ma di una forma di deroga al normale esercizio della funzione giurisdizionale, che solo il legislatore costituzionale potrebbe eventualmente stabilire. L’impedimento legittimo è, infatti, per sua natura, qualcosa di puntuale e concretamente localizzato nel tempo: una presunzione ex lege assoluta d’impedimento “continuativo” per un lungo periodo di tempo equivale ad una norma di status derogatoria, cioè appunto ad una prerogativa.
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