L’eterno ritorno dello statalismo
Uno spettro si aggira per l’Europa: è il ritorno dello Stato.
In realtà questo non è uno spettro incombente ma un vecchio vivo e vegeto ben pasciuto che non se ne era mai andato. Solo si era diffusa negli ultimi 20 anni l’idea che la gestione di sempre più beni e servizi potesse essere svolta da soggetti non pubblici, o misti, o in convenzione, con recupero di produttività e diminuzione di sprechi (certo, auspicati, anche se non sempre verificati) e il peso di questo vecchio si era sempre più ritirato, rimanendo più forte in alcune ridotte mediterranee, come l’Italia.
Tuttavia anche in Italia dopo la caduta del muro di Berlino una grande novità c’era stata: l’idea che ridimensionare lo Stato fosse cosa buona e giusta aveva convinto anche la sinistra, anche la maggior parte di quella post-comunista, e la nuova visione di questa fazione riformista si era saldata a quella di quell’elite finanziaria laico-azionista che da sempre la condivideva e che era stata la forza motrice delle privatizzazioni obbligate di Ciampi e Amato.
Si era arrivati a una situazione in cui segmenti anche maggioritari del centrosinistra risultavano nei fatti più liberali del centrodestra, in diversi campi, e diedero il via a riforme importanti, confermando il detto per cui “le riforme di destra le deve fare la sinistra e le riforme di sinistra le deve fare la destra”. In questo contesto si inquadra la riforma Treu del mercato del lavoro, o la privatizzazione ENI dei governi di centrosinistra 1996-2001. E in seguito le lenzuolate di Bersani nel 2006.
Il centrodestra seguirà con la legge 30 (legge Biagi) nel 2004 o la riforma Gelmini del sistema universitario, tra le altre cose con l’inserimento di elementi privati nei CdA delle università nel 2010.
Naturalmente entrambi gli schieramenti hanno mancato di essere liberalizzatori in quei segmenti dell’economia e della società in cui i privilegi corporativi persi avrebbero scontentato propri elettori.
Il centrosinistra si è guardata bene dal riformare larghi pezzi del servizio pubblico, dalla magistratura all’istruzione e il settore statale in generale, così come le parti dello Statuto dei lavoratori riguardanti il lavoro fisso e sindacalizzato.
Il centrodestra ha colpevolmente mancato di riformare le corporazioni professionali di notai, avvocati, farmacisti, ecc da cui trae tradizionalmente molti voti.
Dall’autunno 2008, però, la crisi mondiale ha sparso panico, poi insicurezza e mancanza di fiducia generale, voglia di tutele e assistenza. Se perfino in USA e UK in via emergenziale lo Stato è dovuto intervenire pesantemente nel mercato, e la rabbia dell’opinione pubblica più che mai si è rivolta contro Wall Street, le banche, gli stipendi e i bonus spropositati dei grandi manager, in Italia, accanto alla voglia di protezione è semplicemente riemerso l’antico e mai sopito sentimento di diffidenza e sospetto verso il mercato e l’iniziativa privata. Del resto nel nostro Paese spesso capita che quello che altrove è investimento è chiamato speculazione, se in capitale umano è sfruttamento. Non è secondario il fatto che spesso gli impreditori si sono lasciati andare a tali pratiche alimentando il pregiudizio.
Ma come è possibile che nella nazione del particulare e dell’individualismo vi sia una tale diffidenza per il privato? Perchè da noi l’individualismo vuol dire non responsabilità individuale ma piuttosto menefreghismo, tentativo di fregare il prossimo, sospetto verso il vicino (“ma come avrà fatto ad avere quel posto, chissà che agganci ha”), da cui deriva che il datore di lavoro, fornitore, cliente o socio preferito è proprio quello molto lontano e poco presente, come era per il contadino del latifondo un tempo, ovvero lo Stato, che in fondo controlla poco (evasione, o assenteismo), pretende poco e dà poco (tariffe di ferrovie e acqua tra le più basse d’Europa a fronte di servizio non certo eccellente). Insomma quello che garantisce la prosecuzione di quell’individualismo parassitario sul prossimo.
E così a fianco alla rinuncia riforme liberali da parte del centrodestra c’è stato un ritorno di fiamma dell’anticapitalismo a sinistra, non solo nella solita sinistra radicale: nelle proteste contro i tagli di Tremonti si è vista, tra le altre cose, l’ideologia per cui lo Stato deve provvedere a mantenere e fornire di cultura, cinema, spettacoli teatrali a dispetto della reale domanda del pubblico in questi campi, oppure che l’istruzione universitaria possa essere finanziata e guidata solo dallo Stato. E come nei casi suddetti, anche nella opposizione alle riforme e agli investimenti in FIAT di Marchionne, dipinto classicamente come uno sfruttatore, la sinistra riformista ha sostanzialmente ceduto al vento dominante, accodandosi alla CGIL con poche seppur importanti eccezioni.
L’ultimo capitolo di questa tendenza è il referendum dell’acqua contro una legge che porta il nome di Ronchi, esponente di una corrente tra le più liberali del centrodestra, anche se una parte di essa (tra cui lo stesso Ronchi) ha scelto l’avventura di FLI assieme a compagni di viaggio dalle inclinazioni ben diverse. Il quesito referendario, lungi dall’essere ritagliato per apporre poche modifiche riformiste, è demolitivo e parte appunto dall’assunto che la gestione delle infrastrutture idriche possa essere effettuata solo dallo Stato, e che si possa effettuare in deficit, non richiedendo alcuna remunerazione. quesiti che la grande maggioranza del PD appoggia con forza, sacrificando vocazioni riformiste un tempo cercate e propagandate che ora solo sparuti esponenti, pur importanti come Bassanini, si sentono di non abbandonare.
E’ tuttavia questa ultimo caso, il referendum sull’acqua, che mi offre l’occasione di osservare che un minimo comune denominatore c’è per una riunificazione di forze moderate e riformatrici, vedendo il NO con coraggio appoggiato dall’UDC e mezzo FLI, dagli imprenditori di Confindustria, ultimamente non certo teneri con il governo, che fa pensare che come all’epoca della legge Biagi, partendo da alcune battaglie liberali (di cui questa sulla liberalizzazione dell’acqua è, si deve ammettere, la più impopolare) che non riguardino la persona di Berlusconi e la paura per l’immigrazione, una nuova intesa in prospettiva a destra del PD e di Tabacci è possibile.