Il tema è tutto politico: la presidenza della Repubblica non è solo l’unica casella costante (per ben sette anni) nel mare instabile e sbizzarrito della politica nostrana.
[ad]Ma in questa fase politica, l’elezione del Capo dello Stato, appare anche come l’atto politico che può determinare la vita della XVII legislatura.
Due sono le variabili che possono determinare l’elezione di un determinato Presidente della Repubblica. Due variabili che però non possono prescindere dalle reali intenzioni politiche del Pd, sempre più stretto ed isolato nella sua decisione di puntare sul doppio binario governo di cambiamento-convenzione per le riforme costituzionali col centrodestra.
Cerchiamo di vedere insieme queste due variabili:
Nel primo caso Pierluigi Bersani, una volta constatata l’impossibilità di dar vita ad un governo di minoranza, deve necessariamente convincersi che il male assoluto sono le elezioni anticipate. Sia per la conseguenza che avrebbero per il paese sia per le conseguenze in casa Pd (leggi Renzi).
L’unica carta rimasta allora sarebbe quella di un accordo col PdL (il cosiddetto governissimo) che tra l’altro gli consentirebbe, attraverso alchimie politiche, di poter puntare ancora su Palazzo Chigi.
In uno scenario di questo tipo, remoto ed osteggiato dalla base, Bersani dovrebbe necessariamente concordare col Popolo della Libertà un nome per il Quirinale.
Berlusconi infatti sarebbe disposto a votare un nome condiviso, ma made in Pd, a patto di formare successivamente un governo d’unità nazionale col centrosinistra. Addirittura Berlusconi ha proposto a Bersani di favorire la nascita di un governo di cambiamento targato Pd (senza il centrodestra dunque) a condizione che al PdL spetti in primo luogo la proposta di indicare il futuro Presidente della Repubblica (votato poi anche dai parlamentari del Partito Democratico).
In questo schema i nomi che circolano sono quelli di Franco Marini, Anna Finocchiaro (osteggiata da Renzi ma con molti sostenitori tra le fila del Carroccio), Massimo D’Alema, Luciano Violante e Pietro Grasso. Quest’ultimo non è un “politico” a tutti gli effetti, richiesta considerata basilare sia da Pd sia dal PdL, ma avrebbe il pregio di liberare la casella della Presidenza del Senato. Che, in un’ottica di governissimo, spetterebbe al PdL.
L’altro schema invece è quello del muro contro muro ed è ipotizzabile solo a partire dalla quarta votazione in poi. In questo scenario Bersani resta del tutto contrario all’ipotesi governissimo. La sua preoccupazione a questo punto è eleggere un Capo dello Stato non ostile al centrosinistra e in grado di far tornare il paese alle urne il più presto possibile.
E in questo scenario che emergono i nomi “bellicisti” di Prodi (pare però porterebbe a probabili spaccature nel Pd) o di alcuni dei dieci nomi usciti dalle consultazioni online del Movimento Cinque Stelle (Rodotà in primis). Una candidatura come quella della Bonino invece paradossalmente avrebbe più caratteristiche alla “governissimo” che alla “muro contro muro”. In quanto candidatura in grado di delineare maggioranze o minoranze di carattere trasversale.
Ecco perché a maggior ragione da giovedì sarà importante seguire la partita del Presidente della Repubblica: da quelle urne di Montecitorio non uscirà solo il nome del dodicesimo inquilino repubblicano del Colle. Ma anche un’importante indicazione sul destino di questa legislatura.