Giunge a una soluzione politica la crisi di governo che interessa l’Iraq dalla fine del 2019. L’ex Primo Ministro Adil Abdul Mahdi aveva rassegnato le proprie dimissioni a inizio dicembre dello scorso anno, dopo le incessanti proteste popolari che avevano come bersaglio la corruzione della classe politica e l’aumento dei prezzi dei beni primari. In un primo momento, i vertici militari avevano provato a reprimere le sommosse nel sangue, ma il Presidente della Repubblica Barham Salih era riuscito a convincere il Primo Ministro della necessità di un passo indietro per evitare, come dichiarato dallo stesso Capo dello stato, un “vuoto di potere”.
Lo stato medio-orientale – dilaniato dalle guerre che lo hanno visto protagonista per quasi trent’anni prima dal conflitto siriano, e dal terrorismo poi – è un osservato speciale delle Nazioni Unite, che hanno dichiarato per bocca del Rappresentante speciale Jeanine Hennis-Plasschaert come “la democrazia abbia dato agli iracheni la possibilità che le loro voci vengano ascoltate e i leader debbano dare conto del loro operato.”
L’Iraq, repubblica parlamentare dal 2005 dopo la caduta del regime ventennale di Saddam Hussein, aveva sperato di trovare la quadra nella designazione a premier dello sciita Adman Al-Zurfi, che tuttavia ha rifiutato l’incarico agli inizi del mese di aprile.
Il 9 dello stesso mese il Presidente della Repubblica ha conferito mandato di formare un governo stabile al Capo dell’intelligence Mustafa Kedhimi, vicino al governo di Ankara e pubblicamente apprezzato dai vertici turchi, i quali tengono a detenere un controllo strategico sul vicino iracheno.
Il Presidente della Repubblica Salih, come nella prassi di una repubblica parlamentare, deve tutelare gli interessi ed essere una figura di raccordo tra le tre anime comunitarie dell’Iraq, cioè l’etnia curda e le due comunità religiose islamiche sciita e sunnita. La costituzione del 2005, a tal proposito, prevede la ripartizione delle tre maggiori cariche statali tra le comunità: ai curdi va la presidenza della Repubblica, agli sciiti il Primo ministro, mentre ai sunniti la presidenza del parlamento.
Particolare attenzione merita il rapporto del governo centrale con l’entità federale autonoma del Kurdistan iracheno, regione di confine che ha ottenuto una sua autonomia dopo la caduta del regime di Saddam e che ha tenuto un referendum non vincolante sull’indipendenza nel 2017. In un incontro coi vertici governativi della regione, il Presidente Barham Salih ha ribadito che la soluzione per i problemi politici del paese rimane la costituzione, “mezzo per la consultazione e la coordinazione tra i partiti e le etnie”.
Le forze in campo, sia esterne che interne, anche e soprattutto grazie alla moral suasion operata da Salih, sembrano dunque intenzionate a trovare una soluzione per la formazione di un governo stabile e rappresentativo di tutti gli iracheni.