Mentre scriviamo queste parole, l’esito del referendum non è noto.
Le maggiori incertezze, si sa, riguardano il raggiungimento del quorum: l’ostacolo che ha vanificato ogni iniziativa referendaria sin dal 1995. Com’è noto, l’art. 75 della Costituzione prevede che “la proposta soggetta a referendum” venga approvata “se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Da questa formula è già possibile trarre una indicazione essenziale: il referendum è una proposta di abrogazione. I cittadini promotori (almeno cinquecentomila), richiedono, con le loro firme, che una legge o parte di essa venga abrogata e sottopongono al corpo elettorale la loro proposta di abrogazione. Tale proposta sarà approvata, e la legge di conseguenza abrogata, se la maggioranza dei cittadini avranno partecipato alla consultazione e i SI avranno superato la metà più uno dei voti validi (cioè dei voti espressi al netto delle schede nulle).
Il quorum della metà più uno degli aventi diritto (cinquanta per cento più uno, e non, come incredibilmente si continua a sentire, cinquantuno per cento) ha pertanto un chiaro significato: il suo mancato raggiungimento costituisce una bocciatura, sia pure implicita, dell’inziativa referendaria da parte del corpo elettorale.
[ad]Gli aventi diritto sono tutti gli elettori che partecipano all’elezione della Camera dei Deputati, vale a dire tutti i cittadini che abbiano compiuto la maggiore età: perché l’iniziativa referendaria sia approvata, cioè perchè sia abrogata la legge sottoposta a referendum, è necessario, di conseguenza, che la maggioranza degli iscritti alle liste elettorali partecipi alla consultazione, recandosi al seggio e ritirando le relative schede. Va infatti ricordato che il quorum viene calcolato con riferimento ad ogni singolo quesito, sulla base delle schede votate (anche se bianche o nulle).
Le liste elettorali sono tenute presso ciascun Comune e comprendono tutti i cittadini italiani maggiorenni o che diventeranno maggiorenni nei successivi sei mesi, iscritti all’anagrafe dei residenti nel relativo Comune o nell’anagrafe dei residenti all’estero di quel Comune.
Presso ogni Comune, infatti, è tenuta una Anagrafe dei residenti all’estero. Ciò portebbe sembrare paradossale – chi è residente all’estero non è residente in alcun Comune italiano – ma si giustifica con la considerazione che la partecipazione alle elezioni richiede necessariamente che l’elettore sia incardinato in uno specifico contesto territoriale: la Camera è eletta sulla base di circoscrizioni infra-regionali, il Senato su base regionale, il Parlamento europeo sulla base di candidature divise per macro-regioni, eccetera. Gli elettori residenti all’estero votano per corrispondenza, sulla base di un complicato meccanismo che prevede l’invio di un plico contenente le schede da parte degli Uffici consolari e la sua spedizione, da parte dell’elettore al Consolato, almeno dieci giorni prima della data della consultazione. Se il plico non viene ricevuto dall’elettore (eventualità tutt’altro che remota), egli deve recarsi personalmente al Consolato a ritirarlo. Chi si trova all’estero temporaneamente e non è, pertanto, iscritto all’A.I.R.E. potrà votare soltando rientrando in Patria, presso il Comune di iscrizione alle liste elettorali.
Le liste elettorali sono aggiornate periodicamente (non certo in tempo reale) e pertanto non rispecchiano esattamente il numero degli aventi diritto. L’elettore che muoia o perda il diritto di voto (ad esempio per una condanna penale) il giorno prima della consultazione non dovrebbe, a rigore, essere conteggiato tra gli aventi diritto, ma viene comunque conteggiato finchè il suo nome resta iscritto alle liste elettorali. Le revisioni delle liste elettorali sono di tre diversi tipi e si svolgono con modalità diverse. Alcuni esempi. Con le revisioni semestrali si iscrivono alle liste coloro che compiranno i diciotto anni nel semestre successivo e si cancellano coloro che sono stati nel frattempo cancellati dall’anagrafe: in questa occasione avviene, tra l’altro, la cancellazione automatica dei residenti all’estero che abbiano compiuto il centesimo anno di età. Le cancellazioni per altre cause, come la perdita della capacità elettorale o il trasferimento in altro Comune o il decesso avvengono tramite le altre revisioni, c.d. “dinamiche”. Nell’imminenza di ogni consultazione si tiene una revisione dinamica straordinaria. Dopo il quindicesimo giorno prima del voto la revisione non è più possibile, le liste restano “congelate” e l’elettore che sia stato erroneamente escluso deve attivarsi personalmente per essere ammesso al voto, rivolgendosi alla Commissione elettorale circondariale.
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[ad]In occasione dei referendum, le liste elettorali acquistano una funzione aggiuntiva: quella di fornire da riferimento per il calcolo del quorum. Nel 1999, il referendum per l’abrogazione della quota proprozionale nella vecchia legge elettorale (c.d. Mattarellum) non raggiunse il quorum per appena 150.000 voti. I residenti all’estero erano allora (ufficialmente) 2.351.306, ma a quanto pare solo a 13.542 di loro, cioè lo 0,5% degli aventi diritto, era stato effettivamente recapitato il certificato elettorale. L’anno successivo, la revisione delle liste elettorali portò alla cancellazione di 350.000 nomi: se l’operazione si fosse svolta in precedenza, presumibilmente il quorum sarebbe stato raggiunto (fonte: RadioRadicale.it).
L’attuale consultazione presenta, sotto questo punto di vista, tutti i rischi delle precedenti. Più uno.
Con una spericolata operazione, che non ha precedenti, il Governo ha provveduto ad abrogare tutte le norme oggetto del quesito “sul nucleare”, nell’imminenza della consultazione. L’Ufficio Centrale per il referendum ha stabilito che il quesito dovesse quindi essere trasferito sulle nuove norme (che in effetti consentirebbero l’installazione di nuove centrali senza alcun ulteriore passaggio parlamentare) e la Corte Costituzionale ha giudicato ammissibile il nuovo quesito. Entrambe le decisioni erano, secondo l’opinione di diversi costituzionalisti, largamente prevedibili. La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha infatti chiarito che solo una abrogazione corrispondente alla volontà dei referendari può portare all’annullamento della consultazione. Non certo un intervento che, cancellate le norme oggetto di referendum, le rende inutili prevedendo che il Governo possa comunque realizzare l’installazione delle centrali.
È piuttosto inverosimile che il Governo e la maggioranza ritenessero davvero di poter bloccare la consultazione ricorrendo a questo stratagemma. Più probabile, a nostro avviso, è che si volesse convincere l’opinione pubblica che il referendum non ci sarebbe stato, sabotando la campagna dei referendari con un espediente mediatico, pur nella consapevolezza dell’esito scontato dei giudizi delle due Corti. Come evidenziato dall’insolita (e irrituale) dichiarazione alla stampa del neoletto presidente della Consulta, alla vigilia dell’udienza, pensare che la Corte Costituzionale potesse dichiarare inammissibile il nuovo quesito era addirittura incredibile. La Consulta, infatti, deve valutare soltanto se il quesito è sufficientemente chiaro e se riguarda le materie che la Costituzione sottrae al referendum: nient’altro.
Il tentativo del Governo (maldestro o geniale, lasciamo ai lettori il giudizio) ha tuttavia sortito un effetto rilevante. Gli elettori residenti all’estero hanno espresso il loro voto sulle vecchie schede, contenenti un quesito diverso da quello sottoposto ai residenti in Italia. Quali saranno le conseguenze? Le questioni sono (almeno) due e vanno tenute distinte.
Primo problema: i voti effettivamente espressi – presumibilmente poche decine di migliaia – saranno validi?
Secondo problema: gli elettori residenti all’estero, che non hanno avuto materialmente la possibilità di esprimersi su uno dei quesiti (non avrebbero potuto farlo nemmeno recandosi in Italia), saranno conteggiati ai fini del raggiungimento del quorum?
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Entrambe le decisioni spettano all’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, anche se sono ipotizzabili (e sono già stati annunciati) ricorsi alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni da parte dei diversi comitati.
[ad]Quanto alla validità dei voti. Per i voti espressi sui tre quesiti non modificati, non si pone alcun problema. I voti sul nucleare, invece, saranno stati espressi su di un quesito diverso da quello sottoposto ai residenti in Italia. Sommare i voti espressi sul vecchio quesito a quelli espressi sul nuovo significa dare per scontato che l’elettore non avrebbe modificato il suo voto a seguito della nuova formulazione. D’altra parte, non considerarli validi significherebbe aver privato gli oltre tre milioni di elettori residenti all’estero del diritto di voto su di uno dei quesiti. L’Ufficio centrale potrebbe decidere di considerare comunque validi i voti in considerazione del fatto che la modifica del quesito è stata resa possibile proprio in considerazione della sostanziale identità di significato delle due formulazioni: in questo caso, la sostanza, cioè l’intenzione dei referendari di impedire l’installazione delle centrali nucleari, prevarrebbe sulla forma, cioè sulla considerazione che il quesito referendario riguarda l’abrogazione una legge e non l’espressione di un indirizzo politico.
Quanto al quorum. Tenendo sempre a mente che il quorum è calcolato per ogni singolo quesito, con riferimento agli elettori residenti all’estero sarà necessario attendere l’apertura di tutti i plichi elettorali per sapere quanti abbiano effettivamente espresso il voto. È possibile, infatti, che un plico contenga solo una, due o tre schede: in questo caso, l’elettore avrebbe partecipato alla consultazione solo con riferimento ai relativi quesiti e verrebbe considerato “astenuto” con riferimento agli altri. Fino allo spoglio delle schede, pertanto, non è possibile sapere con sicurezza quanti i residenti all’estero siano, eventualmente, da computare ai fini del quorum. Con riferimento ai tre quesiti non modificati (su legittimo impedimento e acqua) non c’è dubbio che gli italiani residenti all’estero debbano essere computati, anche nel caso in cui non abbiano ricevuto i plichi dalle strutture consolari (eventualità che si verifica con grande frequenza). I precedenti non consentono di dubitarne: anche se l’elettore all’estero ha oggettivamente più difficoltà ad esprimere il voto, viene considerato a tutti i sensi un avente diritto. Ciò è del tutto logico, del resto: il problema è piuttosto l’inefficienza dei meccanismi che dovrebbero garantire loro il diritto di voto.
Riguardo al quesito sul nucleare, il problema è più complesso. Gli aventi diritto, in questo caso, non hanno avuto alcuna la possibilità di partecipare alla consultazione. Non a causa del servizio postale o della loro negligenza, ma per la modificazione del quesito intervenuta ad una manciata di giorni dal voto. Potrebbe allora essere ipotizzabile che, proprio in considerazione della materiale impossibilità di votare, vengano scomputati dal quorum, per il solo quesito sul nucleare, i tre milioni di italiani all’estero (in questa ipotesi, in caso di affluenza vicina al 50%, la consultazione sul nucleare potrebbe essere l’unica valida!).
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[ad]I comitati referendari sostengono che ciò sia possibile, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della legge. Viene citata in proposito una sentenza della Corte Costituzionale (n. 173/2005), relativa alla legge regionale del Friuli-Venezia-Giulia in materia di elezioni comunali, che ha stabilito di non computare ai fini del quorum partecipativo gli elettori residenti all’estero. Il quorum in questione riguarda, a dire il vero, un caso piuttosto estremo: la validità delle elezioni nei piccoli comuni (con meno di 15.000 abitanti) nel caso in cui venga presentata una sola lista. La legge regionale voleva evitare il necessario commissariamento dei Comuni nel caso in cui si fosse recata a votare una percentuale non elevata degli elettori, in considerazione del numero elevato di iscritti all’A.I.R.E. dei Comuni del Friuli. In quel caso, la Corte ritenne non fondate le censure di costituzionalità sollevate dal Governo. Ora: qual è la funzione del quorum previsto dalla legge friulana? Quella di impedire che l’unica lista presentatasi possa conquistare tutti i seggi del Consiglio Comunale a fronte di una partecipazione ridotta al voto. I cittadini, non recandosi al voto, possono impedire che ciò avvenga, determinando la nullità della consultazione e il commissariamento dell’Ente. Anche nei referendum l’astensione volontaria può avere una precisa finalità: quella di far fallire la consultazione e mantenere in vigore la legge. Non computare i residenti all’estero nel quorum significa, in entrambi i casi, privarli del potere di esprimere una astensione “volontaria” che può avere conseguenze significative. L’analogia sarà considerata sufficiente?
L’Ufficio centrale per il referendum si riunirà giovedì. Ma per allora, l’esito del voto potrebbe essere già noto, se il quorum sarà stato superato, o mancato, per più di 3.200.000 voti. Voto più, voto meno.