La prima storica rielezione di un Presidente della Repubblica uscente porta la politica italiana ad elaborare un numero illimitato di congetture e riflessioni.
[ad]La considerazione che viene fatta più frequentemente è quella legata al messaggio d’impotenza che la politica lancia al paese: pur essendo Napolitano un presidente popolare per la stragrande maggioranza del cittadini questa sua riproposizione assume i connotati della beffa, dell’impossibilità di dar vita ad un ricambio di leadership e della difficoltà di prendere decisioni politiche in Italia. Considerazione questa che trae vita sia dai numeri parlamentari risicati sia dalla strategia suicida del Pd nei confronti dell’elezione dell’inquilino del Colle.
Nonostante tutto c’è un’altra osservazione, fatta da un numero quanto mai minoritario di opinionisti, che vede la rielezione di Giorgio Napolitano come un evento a tratti nefasto per la vicenda nazionale.
Infatti pur nella sua travagliata e sfortunata storia il centrosinistra, da quando esiste la cosiddetta “Seconda Repubblica”, ha sempre avuto una fortuna di valore inestimabile: ha goduto della maggioranza dei parlamentari ogni qual volta si è posto il problema dell’elezione di un Presidente della Repubblica (1999 e 2006).
Una fortuna che ha scongiurato probabilmente, soprattutto nel 1999, un’elezione a maggioranza del Presidente da parte del centrodestra molto meno incline nel cercare di trovare maggioranze per un Capo dello Stato condiviso.
Secondo una teoria difficilmente dimostrabile, in quanto non ci sono precedenti a riguardo, il centrodestra disponendo di una maggioranza assoluta all’interno dei grandi elettori non esiterebbe ad eleggere Silvio Berlusconi alla presidenza della Repubblica dalla quarta votazione.
Probabilmente se 25 febbraio il centrosinistra non avesse preso quello 0.4% in più oggi al Quirinale ci sarebbe l’uomo di Arcore.
Secondo questa prospettiva la rielezione di Giorgio Napolitano rischia di essere scellerata o tatticamente molto dannosa.
Sia per motivi anagrafici sia per motivi di volontà politico-istituzionale (dubbi che verranno chiariti nel suo discorso alla camere lunedì pomeriggio) è quasi certo che Napolitano non concluderà il suo settennato dimettendosi prima dalla massima carica dello stato. Come i precedenti di Segni, Leone e Cossiga.
Oggi come oggi, sia dopo il risultato delle elezioni politiche sia dopo questo tonfo del centrosinistra sul Quirinale, il centrodestra però appare in vantaggio nei sondaggi e di conseguenza non possiamo escludere, nel caso di torni alle urne in tempi brevi, la quarta vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni. Considerando che il centrodestra ha sempre goduto, o per fortuna o per motivi strutturali, di maggioranze sempre più solide rispetto a quelle del centrosinistra (nonostante l’obbrobrioso Porcellum) non è escluso che Napolitano decida di smettere di fare il Presidente della Repubblica in un momento a favore del centrodestra a livello di numeri parlamentari,
In questo caso solo uno sarebbe l’erede del primo presidente della Repubblica: il cavalier Silvio Berlusconi.
Il centrosinistra ha sbagliato a riproporre Napolitano in quanto occorreva occupare subito quella casella per i prossimi sette anni. Eleggendo una persona di assoluta garanzia.
In questo modo invece si è guardato solo al breve periodo, alla risoluzione di una situazione di stallo che però rischia di avere effetti ancor più tragici di quelli dell’oggi.
Alla lunga questa scelta di non assicurarsi per i prossimi sette anni una figura di garanzia al Quirinale rischia di essere l’errore più scellerato di Bersani tra i tanti già commessi.